martedì 27 novembre 2007

Veglia (Maria la dà)

(1994)

Aria imbarazzata, non si aspettava di arrivare in anticipo.
Chiusa, la vertigine delle scale sale tra l’inesorabile tempera delle pareti. Tacciono al suo passare le oscene banalità asessuate della coppia.
Tanfo. Tanfo e putredine di fiori. Il pulviscolo sciaborda nella penombra.
Giocherella un po’ nervoso con le dita, tormenta il baffo destro, poi si avvede che la poltrona a sinistra si è ormai liberata e, schiarendosi la gola, la conquista.
- Allora …
Il puzzo di incenso delle litanie ammorba l’aria. Si fa la fila alla finestra: boccata … espirazione … inspirazione … espirazione … inspirazione … trattenere il respiro … avanti il prossimo!
- Allora …
- Ma almeno tacesse – bisbiglia l’ultimo in fondo a destra.
L’uomo in nero traccia i segni.
Nel cesso il risucchiato s’aggrappa al rotolo della felicità annaspando tra coriandoli dallo strappo perfetto.
La santa Giovanna dei Macelli s’è assopita sul sofà, benedetta nella sua coerenza dal Gran Maestro dei Sogni.
In salotto, per lo spoglio delle spoglie, s’affrontano al rusticano i chierici della compagnia. In silenzio perfetto, a morsi, si tranciano brani di carni l’un l’altro, mentre il banchiere raccoglie le scommesse da Bangkok a Krung Thep.
Maria la dà.
Tutti, pazienti, attendono in fila.
Da basso, in strada, s’ode il rimbombo della grande marcia dei petenti.
Da dietro la polvere dei trini li osservano sgomenti ed invidiosi a un tempo.
Le comari invelettate sciorinano sarcasmo inorridito.
Maria continua a darla.
La fila dà segni di impazienza.
E vien la sera …
Finalmente, ha stirato le cuoia.
Gli ultimi penitenti se ne vanno sollevati.
C’è rimasto solo lui … e piagnucola:
- Allora?

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