giovedì 7 febbraio 2008

Il paese dove tornava a calare la notte

C’era una volta uno strano paese dove si preparava a calare la notte.
Una notte scura e buia, senza luna e senza il lucore del firmamento.
Una notte dove prosperavano gli spiriti maligni.
Una notte che si apprestava a rubare le cose amate per nasconderle sotto il suo manto oscuro.
Una notte amica del ladro e dell’assassino che avrebbe protetto nei suoi antri bui.
Una notte che avrebbe chiamato i cattivi pensieri, li avrebbe vestiti, nutriti e mandati all’assalto.
Una notte che avrebbe sussurrato sogni fallaci ed incubi mendaci.
Una notte che avrebbe riflesso le speranze dei poveri di spirito nello specchio dell'illusione.
Una notte dove il grande lupo bianco avrebbe banchettato travestito da pastore (tedesco).
Questo ed altro ancora prometteva quella terribile notte, che in passato gli abitanti di quello strano paese avevano già conosciuto.
E quando già s'apprestava l'imbrunire i maggiorenti, i tenutari e i protettori del paese si riunirono per vedere se ci fosse modo di scongiurare l'arrivo della notte.
La discussione fu lunga ed le argomentaziooni appassionate.
Ed in vero, unanime era tra maggiorenti, tenutari e protettori del paese il parere che al popolo ci si dovesse appellare per organizzare la strenua resistenza.
Quel che lasciava perplessi i maggiorenti, tenutari e protettori del paese era quel che al popolo dovesse venir detto per suscitarne il necessario piglio guerriero.
Ma dopo un lungo e indefesso lavoro, maggiorenti, tenutari e protettori del paese redassero un alato proclama cui i messi diedero lettura in ogni angolo del paese.
Popolo del nostro beneamato paese.
Nell'ora triste che vede ancora una volta approssimarsi alle nostre case la mano adunca della notte oscura, noi, maggiorenti, tenutari e protettori del paese facciamo appello a Te, popolo generoso e indomito, perché la notte venga ricacciata su per le valli, che con tanta tracotante baldanza viene discendendo verso la nostra terra.
Ti chiediamo di rinnovare la tua fiducia in noi, maggiorenti, tenutari e protettori del paese ed al nostro comando far di ogni uomo una barriera si che la notte s'arresti sull'altra sponda del fiume che sussurra.
A te, popolo che ancora si solleva, noi, maggiorenti, tenutari e protettori del paese, faciamo qui solenne promessa che se la notte venisse scongiurata - senza fallo e pure senza tema – questa volta daremo sollecita attuazione a tutto quanto segue.
Per primo, che ad ognuno sia resa stabile la vita. Senza che alcuno debba soffrir le pene dell'incertezza e la prepotenza di chi della sua condizione s'approfitta.
Per secondo, che ad ognuno si riconosciuto un più equo guiderdone per la sua fatica.
Per terzo che sia accolto come si conviene chi giunge nel paese per bisogno senza esser fatto schiavo alla catena.
Per quarto che alla prole di ciascuno sia fornita un'acconcia e completa educazione.
Per quinto che l'acqua a ciascuno sia fornita senza che alcuno sul diritto lucri.
Per sesto che la guerra sia bandita come pure l'armi dei pacificatori.
Per settimo che a ciascuno sian garantiti i medesimi diritti e che ognuno s'accasi come meglio crede.
Per ottavo che la legge sia fatta e valga per tutti mentre ognuno creda in quel che vuole credere
Per nono che non venga esposto sulla gogna il giudice che indaga sul potente
Per decimo che nessun possa comandare sol perché possiede i tre balconi dell'arringo.
Scusate se, misero, son tardo - fece dall'uscio della sua casa l'Aldo -
ma pari pari m'appaiono qui messe, le vecchie e inmantenute nobili promesse.
Che vuoi capirne tu, misero nessuno - rispose a lui quel messo – di quanto sia complesso tener in conto l'interesse di ciascuno?!
Bene parlasti, mio esplicito messere, e in mezzo a quei ciascuno che tanto hanno da avere, mi scopro ancora, e solo, nient’altro che nessuno.
E dal nessuno, nessuna utilità può mai venire, per ogni tenzone che si vuole imbastire.
Le vostre truppe, mie cari signori, tra i vostri ciascuno dovran saltar fuori.
La notte è buia e sgradevole assai e a casa mia non la vorrei mai.
Ma se la brace non è affatto bella non è che riluccichi la vostra padella
E fu così che, quasi senza lottare, su quel triste paese iniziò a scureggiare.

domenica 27 gennaio 2008

Il burlone

C'era una volta uno lontano villaggio dove un burlone passava per saggio.
Ognuno pendeva alle labbra d'Ubaldo - questo era il nome del nostro ribaldo -
che, senza tema di venire smentito, delle stesse parole rovesciava il partito.
Ubaldo era bello, la sua voce tonante, ed ogni sua azione ... rassicurante,
come poteva il villano pensare che quell'Ubaldo lo stesse a gabbare?
La neve era calda, il fuoco bagnato, la luna nel pozzo e il somaro volato:
tutto possibile, vero e reale, purché nessuno si fermasse a pensare.
E in quel villaggio di un tempo passato, nessuno a pensare si era in vero fermato.
Ed era così che dal suo rosso casato, il signore di un Monte gridava indignato
per la pretesa dei suoi contadini d'esser sfamati coi suoi fiorini
Fannulloni! - Gridava alla folla, proprio chi mai aveva smosso una zolla -
Siete la rovina della nostra economia, che si misura da quanto ho a casa mia!
E i vecchi restavano a zappare, perché i giovani potessero ... zappare.
E chi i villani diceva nel suo cuore, a randellate li prendeva a tutte l'ore.
Se il futuro per i giovani era incerto, grandi cose si adottavan di concerto
e per fare la più pura cortesia, rapinavano i ragazzi per la via.
E il borgomastro se ne andava delirando, che il futuro si conquista ritornando
ai bei tempi dalla vita più serena, con i villani ben tenuti alla catena.
E la cosa piano piano si può fare: basta dire che si vuole riformare
mentre, colla mano d'un'artista, si cancella passo passo ogni conquista.
Ladri, imbroglioni e i fieri assassini, tutti erano gli ospiti di grandi festini.
Coi giudici impegnati alla bisogna trascinati nella piazza sulla gogna.
Col più lesto dei furfanti che si lagna di non essere cantato in pompa magna:
non gli basta che per fare il suo mestiere, sia già stato nominato cavaliere
e galoppi tra le terre d'altri e sue, sulla groppa di quel popolo che è un bue.
L'acqua, l'aria e quant'altro da spartire a Geremia era dato in affido da gestire.
Per mestiere egli faceva l'usuraio, ben curando sempre il suo salvadanaio.
Chi più d'egli può sfruttare con perizia quel che a tutti serve a viver con letizia?
Certo, lui rimpignua la scarsella lesto lesto e al servizio pensa solo se c'è il resto,
ma più bravo di sicuro non ce n'è, di chi pensa veramente solo a sé.
La guerra era pace, il bianco era nero, Il rosso sbiadiva insieme al pensiero.
Il lontano villaggio era così che viveva, coll'astuto Ubaldo che se la rideva.
Finché non comparve la bella Miranda con la sua solita e brusca domanda.
La bella Miranda – non era mistero – giunse al villaggio seguendo il sentiero
e ad ogni passo che di strada faceva la stessa cosa a ciascuno chiedendeva:
L'Ubaldo ha gran voce ed è bello assai, ma di quello che dice la prova non hai.
Com'è che a ogni cosa hai sempre creduto, senza tema che in fallo lui sia mai caduto?
Sudava il villano, l'oste e il messere, quando Miranda lo metteva a sedere
e lo guidava sul duro sentiero dove, in cammino, fiorisce un pensiero.
E piano piano fu proprio così che il lontano villaggio infine fiorì.
Furente l'Ubaldo corse ai ripari, guidando il coro dei mille somari
Raglio su raglio il concerto partì ed ogni suono ovviamente zittì
Leva, paterna, l'Ubaldo la mano e nel silenzio lo ascoltan lontano:
Ecco servito per lor signori l'unico canto dei professori.
Nulla è possibile diverso da loro e non ascoltate chi è fuori dal coro.
Son solo inutili sogni, utopie, fole pei bimbi, fantasmi, malie.
Non vi cacciate in testa un pensiero e della carota seguite il sentiero.
E' questo il mondo che dinanzi vi stà e ve lo dico con tutta onestà.
E fu così che per un po' il lontano villaggio al burlone tornò.
Ma il piccolo seme d'una domanda aveva lasciato la bella Miranda
e, tra ragli, somari e un randello, un giorno, alla fine, fiorì pure quello.

domenica 2 dicembre 2007

Emerald - Capitolo 1

Ardo di sete e mi consumo
Or via
ch'io beva della fonte perenne
a destra
là dov'è il cipresso
Chi sei tu?
Donde sei?
Figlio di Geo son io
e di Uranòs stellato
(laminetta funeraria orfica ritr. 1893 Eleutherna - Creta)

EMERALD: terzo pianeta della stella Uraneo
(Jµ6^ - 70X/-12Y/48Z/34 par/sec)
Gravità 0.923
temperatura media 291 °K
rotazione 22.476 ore standard
tempo di rivoluzione 392 giorni e 13 ore pari a 367
giorni e 14,57 ore standard
atmosfera tipo terrestre
FATTORE HOLTZEN O.945
esplorazione: 21.9 standard 2267
concessione: Mines & Stars Co. (2353)
Inizio colonizzazione: 2357
(dalla "Scheda informativa" della Marina della Confederazione - anno 2382)


Ora che l'astronave s'era interposta tra Uraneo e il pianeta, Emerald appariva come una gemma incastonata nel panno scuro degli spazi siderali.
- Suggestivo, non è vero? – il signor Ciang, l'ometto dagli zigomi sporgenti lo riscosse dai propri pensieri con la sua voce dall'accento cantilenante - L'effetto dallo spazio è stupefacente. Peccato che dalla superficie lo sia un po' meno. Mi chiederà il perché signor? ...
- Temple. Arthur Temple - rispose l’uomo neanche quarantenne, spostando, solo per un attimo, i suoi grandi occhi marroni, dall’immagine del pianeta.
- Signor Temple. Verde, null'altro che sfumature di verde. Tempo due giorni e ne avrà piene le tasche, glielo garantisco. Cielo verde, screziato di nubi d'un verde cupo, che si congiungono all'orizzonte con un mare verde brillante, o con le vette di verdi montagne spruzzate di neve - indovini un po' - verde. Una nausea, le garantisco che non si vomita solo per il terrore che anche il vomito sia verde - sorrise - Lei è convinto che io stia esagerando. Sono della compagnia mineraria ed ogni anno standard vengo per un'ispezione. E lei, come mai arriva a Emerald?
- Archeologia - rispose dopo un attimo, girando verso l’altro il volto, incorniciato da una curata barba castana, che voleva dare un minimo di autorevolezza a quel viso, ancora troppo giovanile.
- Archeologia? Su Emerald? - Il signor Ciang allungò il collo per osservarlo in viso – Ma, a quanto mi risulta, il pianeta è stato colonizzato da non più di venticinque anni e non vi è alcuna traccia di civiltà indigene.
- Altrimenti voi sareste i primi ad essere informati, non è vero, signor Ciang?
- La prego di non considerare le nostre due attività in contrapposizione, signor Temple. La compagnia è consapevole delle leggi della Confederazione.
- Si rassicuri, sono qui per incontrare un collega.
Arthur prese ad ostentare un esclusivo interesse per l'insolito panorama spaziale, sperando che il signor Ciang si ritirasse in buon ordine.
- Non crede anche lei, signor Temple - riprese invece il signor Ciang, con una vena di ossequiosa petulanza, o almeno tale l'avvertì Arthur - che la monocultura economica sia l'unico strumento realistico per una colonizzazione nella fase iniziale?
- Non sono un esperto in economia - si schernì Arthur.
- Ma converrà con me che i costi dei viaggi e dei trasporti interstellari sono tali da rendere più che legittimo l'esclusivismo economico...
- Intende quel che di fatto fa la Confederazione affidando ad una compagnia come la sua la totale gestione di un pianeta?
- Ma solo fin tanto che le strutture del pianeta non divengano autosufficienti.
- E nell'attesa, società come la sua, signor Ciang, incamerano profitti astronomici.
- Anche i costi lo sono, signor Temple. Nella fase pionieristica, come quella in cui si trova Emerald, chi e come dovrebbe sobbarcarsi i costi per il trasporto di decine di migliaia di entusiasti, disperati e sognatori dai più sperduti angoli della Confederazione? Come potrebbe qualche centinaio di migliaia di coloni rendere tecnologicamente autosufficiente il pianeta?
- Mi sta dicendo che la Mines & Stars è un'organizzazione filantropica?
- Gli immensi giacimenti di metalli pesanti di Emerald sono un adeguato incentivo per la compagnia, signor Temple - rispose sorridendo il signor Ciang - Mi permetta di diffidare di incentivi più altruistici o, forse, semplicemente più nascosti.
- Le ho già detto di non intendermi di economia, signor Ciang. Ma da profano, se vuole da studioso di cose inutili come è la storia...
- La prego di non attribuirmi una simile frivolezza - lo interruppe il signor Ciang.
- Ma si figuri, sono io, che sentendola parlare, mi domando in quale razionale e perfettamente ragionevole formula economica, sia possibile collocare la spesa d'una spedizione archeologica. Sfruttamento turistico del sito? Indotto editoriale e universitario che su se stesso, come una sorta di uroboro, finisce per creare un circuito virtuoso e virtuale che ...
- Non si prenda gioco di me.
- Non è mia intenzione, signor Ciang. Ma poco fa mi sono venuti in mente ... direi quasi che ne abbia sentito la protesta nelle orecchie, quelle decine di pianeti esplorati e abbandonati in questi tre secoli di nostri vagabondaggi nel cosmo. Pianeti abitabili, più o meno gradevoli, dal fattore Holtzen tanto alto da costituire da solo un irresistibile spot pubblicitario ...
- Emerald ha un fattore altissimo, 0.945, prossimo all'unità. E se si esclude questo curioso ma fisiologicamente innocuo viraggio al verde della luce ...
- Ma quanti Emerald sono stati scartati, perché non erano altrettanto allettanti per i profitti immediati di questa o quella compagnia?
- Non si può prescindere dal rapporto costi/benefici - scosse la testa il signor Ciang.
- Mi spiace, ma non possiamo capirci, mio caro signore - sospirò Arthur - Vede, lei sembra affetto da quella malformazione degli occhi che, se non erro, un tempo si chiamava miopia e non consentiva di vedere le cose lontane. Mentre io, da buono storico, sembro affetto dalla malattia contraria, la ipermetropia, e non riesco a vedere le cose vicine. Lei si preoccupa di chiudere il bilancio in pareggio ogni sera. Mi perdoni l'ardire di questa rozza metafora economica. Mentre io, sarà perché per mestiere mi sono scelto d'andare a spulciare i bilanci delle aziende cessate, sono interessato tutt'al più al bilancio annuale. Anche se, a dire il vero, di bilanci non me ne frega niente. E comunque - continuò fermando le proteste dell'interlocutore - il condizionare all'immediato ritorno economico, l'avvio di un processo di colonizzazione, che nel futuro potrebbe apportare incalcolabili ricchezze ideali, mentali ed anche economiche all'intera umanità, attraverso la complessità e la diversità di un'intera società umana, non è semplicemente economicistico, rozzo, innaturale, ingiusto. E' fondamentalmente stupido.
Il sorriso del signor Ciang si spense e, questi, dopo un cenno di formale inchino, si ritirò.
Arthur si rimproverò d'aver perduto la pazienza, ma con sollievo poté tornare ai propri pensieri e all'enigma che era alla base di quel suo viaggio.
La sua sorpresa era stata grande quando aveva ricevuto a New Yale quello strano messaggio di Jhob Crhistiansen, il suo amico e collega all'Istituto di Archeologia dell'università, un biglietto sibillino: "Ho trovato la torre nell'uovo di Phanes".
E poi quel testo di una laminetta funeraria orfica dell'antica Grecia di Terra, il pianeta originario, da cui l'umanità s'era affrancata due secoli prima, colonizzando già, al momento, una ventina di pianeti.
Per lui, che considerava come genialità l'apparente stravaganza dell'amico, si era rivelata una sorpresa che era stata sufficiente a convincerlo ad imbarcarsi in quell'impresa che, al momento, appariva senza un capo ed una coda.

Emerald - Capitolo 2

Discese sul pianeta con la navetta dell’astronave.
La cinquantina di poltrone dell’area passeggeri erano pressoché totalmente occupate da tecnici e amministrativi della Compagnia.
E in realtà, se si comprendeva anche il gruppetto di scienziati - reclutati anch’essi dalla compagnia per un progetto, che Arthur non aveva ben compreso, né si era curato di comprendere - egli sembrava essere il solo turista. Il solo, comunque, senza un legame di dipendenza con la concessionaria del pianeta.
Emerald City si trovava nella zona temperata, al centro d'un ampio golfo della costa occidentale del grande continente, Pangea, che da solo rappresentava una buona metà dell'intero pianeta e di fatto la totalità delle sue terre emerse.
Osservando la città dall’oblò, mentre la navetta planava dolcemente, credette di intuire la ragione della propria unicità: il panorama non poteva certo dirsi invitante.
- Quella alla sinistra – disse il signor Ciang, protendendosi in avanti verso l’oblò, e facendo mostra d’aver dimenticato la scortesia di Arthur - è la zona residenziale, con a sud, nella zona dello spazioporto, il quartiere amministrativo e degli ospiti, dove potrà trovare un alloggio. Mentre quella a destra è la zona produttiva. Guardi laggiù – ed indicò delle grandi torri e tralicci, che si stagliavano in lontananza – dove si vedono quelle grandi strutture metalliche. Lì ci sono gli ingressi dei pozzi estrattivi. Avanti si vedono gli impianti di lavorazione dei metalli grezzi e lì, sul lato commerciale dello spazioporto, quelli sono i magazzini per le spedizioni.
- Un’organizzazione molto razionale – fece Arthur, cercando di essere cortese, mentre uno sgraziato cargo commerciale si sollevava dalla sezione commerciale della sterminata piattaforma di cemento dello spazioporto.
- Ci sono ventisei corridoi aerei – riferì soddisfatto il signor Ciang - che consentono il trasferimento, da un qualsiasi punto della città ad un altro, in meno di sette minuti standard. Tutti gli impianti produttivi e tutti gli isolati residenziali sono dotati della loro mensa. Per la Mines & Stars – concluse soddisfatto – è un punto d’onore ottimizzare i tempi e gli spazi.
- Non lo metto in dubbio – sussurrò Arthur, sgomento alla vista di quella congerie di strutture senza grazia.
- Come c’è finito, Jhob? – pensò – E, soprattutto, cosa ci ha trovato?
Aspettò diligentemente che i passeggeri dinanzi a lui liberassero il corridoio e, seguendo il signor Ciang, si avvio al portello.
Sui primi gradini della scaletta si fermò, sconcertato dalla strana luce del pianeta.
- L’avevo avvertita – gli disse il signor Ciang, che s’era girato e gli sorrideva – Non si preoccupi, ci si fa rapidamente l’abitudine. Come del resto a tutto, non è vero signor Temple?
Gli ripose con un cenno della mano, mentre assaporava l’aria, impercettibilmente, ma inequivocabilmente diversa e, comunque, gradita dopo l’asettica atmosfera dell’astronave.
Discese guardandosi attorno.
La navetta s’era posata nei pressi del terminal passeggeri, con i suoi grandi finestroni ogivati e polarizzati.
Avviandosi al terminal, si rese conto che quell’area rappresentava solo una piccola zona dello spazioporto.
Un piccolo spicchio separato, da una parte, dall’area commerciale, dove fervevano le operazioni di carico di almeno cinque mastodontici carghi, e, dall’altra, da un’area delimitata da campi di energia, che emanavano lungo il perimetro fasci di luce verdognola.
Incuriosito, stava per chiederne la ragione al logorroico signor Ciang, quando, con un’elegante parabola, che ne contraddiceva la struttura, un cargo piombò dal cielo, per posarsi al centro di quell’area.
Nel giro di pochi secondi sei mezzi di superficie planarono a circondare il cargo e ne discesero alcune decine di uomini in divisa nera, completa di casco integrale, e storditori alla cinture.
Il ventre del cargo si aprì, rivelando una larga passerella, dalla quale iniziarono a discendere, incerti, uomini, donne, bambini.
- Immigrati – informò Ciang – con ogni nave ne arrivano circa tremila. Quel cargo dovrà fare cinque, sei viaggi per sbarcali tutti.
Arthur si fermò a guardare.
Gli uomini in nero gridavano ordini e, con gesti imperiosi, invitavano quella gente a fare in fretta.
Nel giro di pochi secondi qualche centinaio di esseri umani era raggruppato in un angolo ed il cargo, richiamata la passerella, si sollevò con una rapida accelerazione.
Uno degli uomini in nero, con una pompa, spruzzò una nebbiolina gialloverdastra su quella varia umanità. Un bambino iniziò a piangere.
- Ma cosa?!
- Disinfestazione – l’informò il signor Ciang – Lei non può capire la quantità di germi che si riproducono nelle stive delle astronavi, con migliaia di individui che, per settimane, convivono in così poco spazio. Una volta nel terminal immigrazione, prima della selezione, verranno sottoposti ad una doccia più radicale.
Gli uomini in nero gridavano ora nuovi ordini e il gruppo degli immigrati si divise, non senza deboli resistenze, con gli uomini su un lato e le donne con i bambini sull’altro.
Incolonnati, i due gruppi si avviarono a piedi verso il terminal di quel settore, distante un centinaio di metri.
- Cosa sono quei fasci di energia?
- Campi di forza – rispose il signor Ciang – per evitare sconfinamenti.
- In che senso, sconfinamenti?
- Non si preoccupi, signor Temple, non sono mortali – lo prevenne sorridendo il signor Ciang – Servono a prevenire l’immigrazione clandestina. Chiunque arrivi per lavoro su Emerald, deve aver sottoscritto un contratto preliminare con la Mines & Stars, che si fa carico delle spese di viaggio. Col preliminare, ogni individuo impegna se stesso ed eventualmente i propri familiari minori, ad un periodo di lavoro non inferiore a cinque anni standard per conto della compagnia, nel servizio scelto, a loro insindacabile giudizio, dai selettori della stessa compagnia.
- E poi?
- Chi ha onorato il contratto ed ha saldato i debiti con la compagnia per il viaggio, il vitto e l’alloggio, è libero di fare quel che più gli aggrada – sorrise con un lieve inchino il signor Ciang
- Anche di ripartire da Emerald?
- Se ha i crediti per pagarsi il viaggio – rispose con un’alzata di spalle il signor Ciang.
- Ma chi impedisce a una persona di andare per i fatti suoi, una volta superata la dogana?
- La compagnia è autorizzata ad inserire in ogni individuo un segnalatore radio subcutaneo, in grado di indicare in ogni momento, al sistema di controllo centrale, la posizione di quell’individuo. Prima che sia uscita dal terminal immigrazione, ognuna di quelle persone, mi creda signor Temple, avrà il suo bravo segnalatore.

Emerald - Capitolo 3

Entrato nel terminal "passeggeri", s'avvio alle cabine doganali d'identificazione, con il disagio tipico del viaggiatore occasionale.
L'attesa fu solo di un attimo, poi la porta si rivelò scorrendo sulla sinistra
- Prego s'accomodi - la voce digitalizzata dell'unità di controllo parve soccorrere la sua indecisione.
Arthur entrò e la porta si richiuse alle sue spalle.
- Prego si sieda.
Arthur si sedette inquieto.
- Nome
- Arthur Temple
Lievi ronzii gli rivelarono che le macchine esperivano sommessamente gli accertamenti e i rilievi previsti
- Pianeta e data standard di nascita
- Terra 3.1.2344
- Provenienza
- New Yale - Continente universitario
- Professione
- Docente Universitario
- Specializzazione
- Archeologia terrestre
- Motivo della visita
- Visita ad un collega
- Nome
- Jhob Crhistiansen
Più che terminata, l'indagine parve ad Arthur interrotta sul nome dell'amico e, dopo alcuni secondi di completo silenzio, la voce riprese a parlare, mentre contemporaneamente una porta si apriva alla sua destra.
- Prego, professor Temple, segua il corridoio delimitato dalla doppia riga, grazie.
Un lieve senso d'allarme lo percorse: per quanto non fosse un viaggiatore abituale, si rendeva conto che quella non era la procedura ordinaria.
- Cosa, cosa è avvenuto?
- Prego, professor Temple, segua il corridoio delimitato dalla doppia riga, grazie.
- Sono un libero cittadino della Confederazione ed esigo ...
- Prego, professor Temple, segua il corridoio delimitato dalla doppia riga, grazie.
- Senti coso - sibilò- io già non sopporto questa sorta di stupro elettronico ...
- Prego, professor Temple, segua il corridoio delimitato dalla doppia riga, grazie.
- All'inferno! - sbottò Arthur, dandosi dello stupido per quel suo discutere con una voce sintetica e s'avviò, coprendo con la rabbia il senso d'inquietudine.
Il corridoio si snodava, lungo.
Ebbe il tempo di pensare agli immigrati, accalcati in attesa della selezione.
Tra i campi di forza, quella biblica moltitudine pulsava in attesa, come un grande animale ferito e sofferente, dopo un viaggio, in condizioni subumane, nei ponti inferiori dell'astronave.
Arthur mitigò la propria rabbia, con la consapevolezza della condizione privilegiata di turista, tanto che, giunto al termine del corridoio all'ingresso d'un ufficio, all'inquietudine s'accompagnava ormai l'indignazione.
Entrò deciso.
- S'accomodi, Professor Temple. Sono il capitano Gile.
Un uomo sulla cinquantina, dall'altro lato di una scrivania, l'invitava a sedersi su una poltrona.
- Senta lei, io sono un libero cittadino della Confederazione e non intendo tollerare che la polizia privata di una compagnia mineraria qualsiasi, dopo avermi intimamente profanato nelle mie caratteristiche e nelle mie miserie - Cristo, va bene, lo ammetto, sono un essere transitorio e temporaneo, va bene? - mi ...
- Si calmi Professor Temple, e si sieda. Le chiedo scusa personalmente e a nome della Mines & Stars, ma ora si sieda.
Dopo un ulteriore attimo di indecisione, Arthur si sedette.
- I nostri metodi di identificazione sono i metodi standard approvati dalla Confederazione e la nostra polizia opera sulla base dell'atto di concessione rilasciato della stessa Confederazione.
- Nell'interesse di chi? Della Confederazione o della Compagnia?
- Su Emerald, professor Temple, i due interessi coincidono.
- E cosa mi dice di quei poveri disgraziati.
- Gli immigrati?
- Già, come li ha definiti un vostro ispettore? Entusiasti, disperati, sognatori. Che ora se ne stanno lì, inquadrati come animali da macello, su questa sorta di Rupe Tarpea...
- Prego?
- Lasci perdere. Se ne stanno lì e ora i loro sogni, i loro ricordi, le loro ferite, il pulsare stesso di quel grumo di carne e sangue che sono, non conta nulla, nulla. È tutt'al più un fattore di rendimento per giudicare la loro qualità di carni da miniera. Voi non siete altro che un'estensione meccanico-contabile di un consiglio di amministrazione. E questo sarebbe l'interesse della Confederazione? Dell'umanità? Ma si rende conto di quanta forza vitale si disperde scaraventata giù da questa rupe?
- Non siamo così orribili, professor Temple.
- Infatti, è vero. Sant'Iddio, siete solo realisti, tragicamente realisti da compromettere tutte quelle possibilità.
E la sua indignazione si spense nel vago gesto rivolto oltre la porta.
- Lei è un archeologo, professor Temple, uno studioso. Pensi alle memorie dei suoi computer e lasci a noi, individui poco raccomandabili, le miserie quotidiane - Arthur represse una dura risposta - Lasci invece che le dica il motivo per il quale l'abbiamo convocata non appena è stato identificato. Lei ha dichiarato di essere giunto su Emerald per incontrare il professor Crhistiansen, un suo collega.
- Esatto.
- Ebbene, professor Temple, benché lei abbia or ora espresso un giudizio così poco lusinghiero sui nostri sistemi di identificazione e controllo. Che a quanto mi è parso di capire, giudica eccessivamente, come dire, polizieschi. Debbo informarla che il professor Crhistiansen è scomparso senza lasciare alcuna traccia di sé da circa tre mesi, tempo di Emerald, si intende.
- Come ... scomparso?
- Il Professor Crhistiansen godeva, come lei, di un permesso di soggiorno turistico, professore, e pertanto, al di là del segnalatore radio subcutaneo, non era tenuto ad alcun altro sistema di identificazione e ricerca. Per quanto ne sappiamo, si era recato nella regione di Aither...
- Aither?
- Si, è una regione dall'altra parte di Pangea, sulla costa orientale dell'emisfero australe. Una costa molto frastagliata, ricca di scogliere e fiordi.
- Chronos fabbrica nel seno di Aither l'uovo da cui nasce Phanes ... – borbottò, socchiudendo gli occhi Arthur
- Dice?
- Niente, solo memorie che escono dai miei computer.
- La zona è estremamente pericolosa Sia perché in buona parte poco conosciuta e sia perché soggetta, come del resto tutta la costa orientale, a violente tempeste, cicloni ed altre amenità del genere.
- Ma perché si è recato in quel posto?
- Questo, mio caro professore, non siamo in grado di dirglielo. Perché, per quanto pensiate male di noi, il professor Crhistiansen e lei, nessuno di voi è tenuto a dirci perché si reca in questo o quel luogo di Emerald. Certo è che una volta usciti dalle aree delimitate dalla Compagnia, non si gode più della sua protezione complessiva.
- La regione di Aither è fuori delle aree della compagnia?
- I nostri insediamenti sono al momento tutti sul lato occidentale della dorsale di Pangea. Principalmente per il fattore climatico. Ma è comunque possibile raggiungere la costa orientale con qualche trasportatore indipendente. Ce ne sono molti a Emerald City, con le loro vecchie carrette. Il Professor Crhistiansen aveva affittata quella di un certo Klaus Berensky, un tipo esperto della costa orientale.
- Cos'è successo?
- Non lo sappiano. Circa tre mesi fa, come le ho detto, sia il suo segnalatore radio, che quello del Berensky, hanno cessato di trasmettere il segnale.
- Non potrebbero essersi guastati?
- Contemporaneamente? E comunque non sono stati neanche estratti. Questo avrebbe causato la variazione della frequenza del segnale. Hanno semplicemente cessato di trasmettere.
- Come è possibile?
L'uomo alzò le spalle:
- Allo stato non ci sono spiegazioni. La compagnia ha inviato una spedizione di ricerca, ma senza alcun risultato. Del suo collega e della sua guida non è stata trovata alcuna traccia.
- Capisco.
- Cosa intende fare, professor Temple?
- Adesso non so. Devo capirci qualcosa, Ma se non avete altro da dirmi, penso che finirò per affittare un mezzo e raggiungere la regione di Aither.
L'uomo sorrise.
- La Compagnia, oltre che avvisarla, non può fare altro. Non può impedirle di porre a repentaglio la sua vita. L'informo, comunque, che quella del suo collega è la settima scomparsa recente avvenuta in quella zona. Se ha ancora intenzione di continuare, buona fortuna professore.
Appena il professor Temple uscì dal suo ufficio, il capitano Gile digitò un codice interno alla consolle. Qualcuno gli rispose.
- E’ appena uscito dal mio ufficio.
- E il segnalatore? – chiese l’immagine.
- Soprassediamo – rispose Gile ed aggiunse, quasi a spiegare a se stesso – Non è il caso di irritarlo ulteriormente. Lasciamogli credere di potersi muovere liberamente. Questo ci porterà più facilmente a qualcosa.
- Bene.
- Abbiamo tutto il tempo che vogliamo, per agire – e chiuse la comunicazione.
Rilassò le spalle contro lo schienale della sedia. Incrociò le dita delle mani, giunte dinanzi alla bocca. Osservò un punto oltre la porta del suo ufficio e si concesse un mezzo sorriso.
Le cose iniziavano a muoversi.