domenica 27 gennaio 2008

Il burlone

C'era una volta uno lontano villaggio dove un burlone passava per saggio.
Ognuno pendeva alle labbra d'Ubaldo - questo era il nome del nostro ribaldo -
che, senza tema di venire smentito, delle stesse parole rovesciava il partito.
Ubaldo era bello, la sua voce tonante, ed ogni sua azione ... rassicurante,
come poteva il villano pensare che quell'Ubaldo lo stesse a gabbare?
La neve era calda, il fuoco bagnato, la luna nel pozzo e il somaro volato:
tutto possibile, vero e reale, purché nessuno si fermasse a pensare.
E in quel villaggio di un tempo passato, nessuno a pensare si era in vero fermato.
Ed era così che dal suo rosso casato, il signore di un Monte gridava indignato
per la pretesa dei suoi contadini d'esser sfamati coi suoi fiorini
Fannulloni! - Gridava alla folla, proprio chi mai aveva smosso una zolla -
Siete la rovina della nostra economia, che si misura da quanto ho a casa mia!
E i vecchi restavano a zappare, perché i giovani potessero ... zappare.
E chi i villani diceva nel suo cuore, a randellate li prendeva a tutte l'ore.
Se il futuro per i giovani era incerto, grandi cose si adottavan di concerto
e per fare la più pura cortesia, rapinavano i ragazzi per la via.
E il borgomastro se ne andava delirando, che il futuro si conquista ritornando
ai bei tempi dalla vita più serena, con i villani ben tenuti alla catena.
E la cosa piano piano si può fare: basta dire che si vuole riformare
mentre, colla mano d'un'artista, si cancella passo passo ogni conquista.
Ladri, imbroglioni e i fieri assassini, tutti erano gli ospiti di grandi festini.
Coi giudici impegnati alla bisogna trascinati nella piazza sulla gogna.
Col più lesto dei furfanti che si lagna di non essere cantato in pompa magna:
non gli basta che per fare il suo mestiere, sia già stato nominato cavaliere
e galoppi tra le terre d'altri e sue, sulla groppa di quel popolo che è un bue.
L'acqua, l'aria e quant'altro da spartire a Geremia era dato in affido da gestire.
Per mestiere egli faceva l'usuraio, ben curando sempre il suo salvadanaio.
Chi più d'egli può sfruttare con perizia quel che a tutti serve a viver con letizia?
Certo, lui rimpignua la scarsella lesto lesto e al servizio pensa solo se c'è il resto,
ma più bravo di sicuro non ce n'è, di chi pensa veramente solo a sé.
La guerra era pace, il bianco era nero, Il rosso sbiadiva insieme al pensiero.
Il lontano villaggio era così che viveva, coll'astuto Ubaldo che se la rideva.
Finché non comparve la bella Miranda con la sua solita e brusca domanda.
La bella Miranda – non era mistero – giunse al villaggio seguendo il sentiero
e ad ogni passo che di strada faceva la stessa cosa a ciascuno chiedendeva:
L'Ubaldo ha gran voce ed è bello assai, ma di quello che dice la prova non hai.
Com'è che a ogni cosa hai sempre creduto, senza tema che in fallo lui sia mai caduto?
Sudava il villano, l'oste e il messere, quando Miranda lo metteva a sedere
e lo guidava sul duro sentiero dove, in cammino, fiorisce un pensiero.
E piano piano fu proprio così che il lontano villaggio infine fiorì.
Furente l'Ubaldo corse ai ripari, guidando il coro dei mille somari
Raglio su raglio il concerto partì ed ogni suono ovviamente zittì
Leva, paterna, l'Ubaldo la mano e nel silenzio lo ascoltan lontano:
Ecco servito per lor signori l'unico canto dei professori.
Nulla è possibile diverso da loro e non ascoltate chi è fuori dal coro.
Son solo inutili sogni, utopie, fole pei bimbi, fantasmi, malie.
Non vi cacciate in testa un pensiero e della carota seguite il sentiero.
E' questo il mondo che dinanzi vi stà e ve lo dico con tutta onestà.
E fu così che per un po' il lontano villaggio al burlone tornò.
Ma il piccolo seme d'una domanda aveva lasciato la bella Miranda
e, tra ragli, somari e un randello, un giorno, alla fine, fiorì pure quello.