giovedì 7 febbraio 2008

Il paese dove tornava a calare la notte

C’era una volta uno strano paese dove si preparava a calare la notte.
Una notte scura e buia, senza luna e senza il lucore del firmamento.
Una notte dove prosperavano gli spiriti maligni.
Una notte che si apprestava a rubare le cose amate per nasconderle sotto il suo manto oscuro.
Una notte amica del ladro e dell’assassino che avrebbe protetto nei suoi antri bui.
Una notte che avrebbe chiamato i cattivi pensieri, li avrebbe vestiti, nutriti e mandati all’assalto.
Una notte che avrebbe sussurrato sogni fallaci ed incubi mendaci.
Una notte che avrebbe riflesso le speranze dei poveri di spirito nello specchio dell'illusione.
Una notte dove il grande lupo bianco avrebbe banchettato travestito da pastore (tedesco).
Questo ed altro ancora prometteva quella terribile notte, che in passato gli abitanti di quello strano paese avevano già conosciuto.
E quando già s'apprestava l'imbrunire i maggiorenti, i tenutari e i protettori del paese si riunirono per vedere se ci fosse modo di scongiurare l'arrivo della notte.
La discussione fu lunga ed le argomentaziooni appassionate.
Ed in vero, unanime era tra maggiorenti, tenutari e protettori del paese il parere che al popolo ci si dovesse appellare per organizzare la strenua resistenza.
Quel che lasciava perplessi i maggiorenti, tenutari e protettori del paese era quel che al popolo dovesse venir detto per suscitarne il necessario piglio guerriero.
Ma dopo un lungo e indefesso lavoro, maggiorenti, tenutari e protettori del paese redassero un alato proclama cui i messi diedero lettura in ogni angolo del paese.
Popolo del nostro beneamato paese.
Nell'ora triste che vede ancora una volta approssimarsi alle nostre case la mano adunca della notte oscura, noi, maggiorenti, tenutari e protettori del paese facciamo appello a Te, popolo generoso e indomito, perché la notte venga ricacciata su per le valli, che con tanta tracotante baldanza viene discendendo verso la nostra terra.
Ti chiediamo di rinnovare la tua fiducia in noi, maggiorenti, tenutari e protettori del paese ed al nostro comando far di ogni uomo una barriera si che la notte s'arresti sull'altra sponda del fiume che sussurra.
A te, popolo che ancora si solleva, noi, maggiorenti, tenutari e protettori del paese, faciamo qui solenne promessa che se la notte venisse scongiurata - senza fallo e pure senza tema – questa volta daremo sollecita attuazione a tutto quanto segue.
Per primo, che ad ognuno sia resa stabile la vita. Senza che alcuno debba soffrir le pene dell'incertezza e la prepotenza di chi della sua condizione s'approfitta.
Per secondo, che ad ognuno si riconosciuto un più equo guiderdone per la sua fatica.
Per terzo che sia accolto come si conviene chi giunge nel paese per bisogno senza esser fatto schiavo alla catena.
Per quarto che alla prole di ciascuno sia fornita un'acconcia e completa educazione.
Per quinto che l'acqua a ciascuno sia fornita senza che alcuno sul diritto lucri.
Per sesto che la guerra sia bandita come pure l'armi dei pacificatori.
Per settimo che a ciascuno sian garantiti i medesimi diritti e che ognuno s'accasi come meglio crede.
Per ottavo che la legge sia fatta e valga per tutti mentre ognuno creda in quel che vuole credere
Per nono che non venga esposto sulla gogna il giudice che indaga sul potente
Per decimo che nessun possa comandare sol perché possiede i tre balconi dell'arringo.
Scusate se, misero, son tardo - fece dall'uscio della sua casa l'Aldo -
ma pari pari m'appaiono qui messe, le vecchie e inmantenute nobili promesse.
Che vuoi capirne tu, misero nessuno - rispose a lui quel messo – di quanto sia complesso tener in conto l'interesse di ciascuno?!
Bene parlasti, mio esplicito messere, e in mezzo a quei ciascuno che tanto hanno da avere, mi scopro ancora, e solo, nient’altro che nessuno.
E dal nessuno, nessuna utilità può mai venire, per ogni tenzone che si vuole imbastire.
Le vostre truppe, mie cari signori, tra i vostri ciascuno dovran saltar fuori.
La notte è buia e sgradevole assai e a casa mia non la vorrei mai.
Ma se la brace non è affatto bella non è che riluccichi la vostra padella
E fu così che, quasi senza lottare, su quel triste paese iniziò a scureggiare.

domenica 27 gennaio 2008

Il burlone

C'era una volta uno lontano villaggio dove un burlone passava per saggio.
Ognuno pendeva alle labbra d'Ubaldo - questo era il nome del nostro ribaldo -
che, senza tema di venire smentito, delle stesse parole rovesciava il partito.
Ubaldo era bello, la sua voce tonante, ed ogni sua azione ... rassicurante,
come poteva il villano pensare che quell'Ubaldo lo stesse a gabbare?
La neve era calda, il fuoco bagnato, la luna nel pozzo e il somaro volato:
tutto possibile, vero e reale, purché nessuno si fermasse a pensare.
E in quel villaggio di un tempo passato, nessuno a pensare si era in vero fermato.
Ed era così che dal suo rosso casato, il signore di un Monte gridava indignato
per la pretesa dei suoi contadini d'esser sfamati coi suoi fiorini
Fannulloni! - Gridava alla folla, proprio chi mai aveva smosso una zolla -
Siete la rovina della nostra economia, che si misura da quanto ho a casa mia!
E i vecchi restavano a zappare, perché i giovani potessero ... zappare.
E chi i villani diceva nel suo cuore, a randellate li prendeva a tutte l'ore.
Se il futuro per i giovani era incerto, grandi cose si adottavan di concerto
e per fare la più pura cortesia, rapinavano i ragazzi per la via.
E il borgomastro se ne andava delirando, che il futuro si conquista ritornando
ai bei tempi dalla vita più serena, con i villani ben tenuti alla catena.
E la cosa piano piano si può fare: basta dire che si vuole riformare
mentre, colla mano d'un'artista, si cancella passo passo ogni conquista.
Ladri, imbroglioni e i fieri assassini, tutti erano gli ospiti di grandi festini.
Coi giudici impegnati alla bisogna trascinati nella piazza sulla gogna.
Col più lesto dei furfanti che si lagna di non essere cantato in pompa magna:
non gli basta che per fare il suo mestiere, sia già stato nominato cavaliere
e galoppi tra le terre d'altri e sue, sulla groppa di quel popolo che è un bue.
L'acqua, l'aria e quant'altro da spartire a Geremia era dato in affido da gestire.
Per mestiere egli faceva l'usuraio, ben curando sempre il suo salvadanaio.
Chi più d'egli può sfruttare con perizia quel che a tutti serve a viver con letizia?
Certo, lui rimpignua la scarsella lesto lesto e al servizio pensa solo se c'è il resto,
ma più bravo di sicuro non ce n'è, di chi pensa veramente solo a sé.
La guerra era pace, il bianco era nero, Il rosso sbiadiva insieme al pensiero.
Il lontano villaggio era così che viveva, coll'astuto Ubaldo che se la rideva.
Finché non comparve la bella Miranda con la sua solita e brusca domanda.
La bella Miranda – non era mistero – giunse al villaggio seguendo il sentiero
e ad ogni passo che di strada faceva la stessa cosa a ciascuno chiedendeva:
L'Ubaldo ha gran voce ed è bello assai, ma di quello che dice la prova non hai.
Com'è che a ogni cosa hai sempre creduto, senza tema che in fallo lui sia mai caduto?
Sudava il villano, l'oste e il messere, quando Miranda lo metteva a sedere
e lo guidava sul duro sentiero dove, in cammino, fiorisce un pensiero.
E piano piano fu proprio così che il lontano villaggio infine fiorì.
Furente l'Ubaldo corse ai ripari, guidando il coro dei mille somari
Raglio su raglio il concerto partì ed ogni suono ovviamente zittì
Leva, paterna, l'Ubaldo la mano e nel silenzio lo ascoltan lontano:
Ecco servito per lor signori l'unico canto dei professori.
Nulla è possibile diverso da loro e non ascoltate chi è fuori dal coro.
Son solo inutili sogni, utopie, fole pei bimbi, fantasmi, malie.
Non vi cacciate in testa un pensiero e della carota seguite il sentiero.
E' questo il mondo che dinanzi vi stà e ve lo dico con tutta onestà.
E fu così che per un po' il lontano villaggio al burlone tornò.
Ma il piccolo seme d'una domanda aveva lasciato la bella Miranda
e, tra ragli, somari e un randello, un giorno, alla fine, fiorì pure quello.