martedì 27 novembre 2007

I tre fratelli

C’erano una volte tre fratelli, Giacomo, Timoteo e Tommaso, che vivevano nella casa del padre.
Benché grandi, ed in vero formati, continuavano a dipendere dall’anziano genitore, che nei campi seguivano al lavoro.
Anche se vivevano in tre, ciascuno pensava per sé.
Giacomo, di Timoteo e Tommaso mai si curava.
Timoteo, per Tommaso e Giacomo non mostrava interesse.
Tommaso, con Giacomo e Timoteo non aveva discussione.
Un giorno il padre li chiamò accanto a sé.
Cari figlioli, io sono vecchio – disse loro – Ed è giunto il momento che ognuno di voi vada per la propria strada. Eccovi, a testa, trenta denari, che ad ognuno di voi serviranno per costruire la propria casa.
Ed ogni fratello, anche in questa occasione, pensò a propri affari e dei fratelli non si curò.
Giacomo, il più giovane, per prima cosa pensò di festeggiare l’improvvisa ricchezza.
E nel paese organizzò una gran festa.
Chiamò tutti, financo dai villaggi vicini. E tutti accorsero al grande banchetto.
Che per tre giorni fu ricco di paste, brasati ed arrosti.
Bagnato di vini, sia bianchi che rossi.
Quando la festa alla fine scemò, il prodigo Giacomo con un denaro si ritrovò.
Con quel poco che gli era rimasto, solo la paglia poté comperare.
E con il fango che sul posto trovò, una capanna si preparò.
A Tommaso, il fratello più grande, ben altre cose passarono in mente.
E fin da subito si mise a pensare come quei soldi potevan figliare.
Cinque denari a interesse prestò, a qualcheduno che mai ritornò.
Dieci denari in un gregge investì, che d’improvvisa malamorte perì.
Sette denari al mercato perdette, comprando e vendendo sette giorni su sette.
Sette denari se ne andarono in fumo, in quel che d’affare aveva solo il profumo.
Un denaro, infine, al frate lo diede, perché quella iella gli desse un po’ requie.
Rimasto alla fine senza denaro, solo di frasche di fece un riparo.
Timoteo, il fratello di mezzo, a faticare era un poco più avvezzo.
E senza indugio, senza farsi sentire, subito casa iniziò a costruire.
Da mastro Pippo prese i mattoni.
Sa sora Marta comprò la malta.
Da Pino e Gino, che sono fratelli, prese la legna, i chiodi e i martelli.
E per finire da mastro Geppetto, quel che serviva per fare il tetto.
Lavorò sodo, dall’alba al tramonto, fino a che tutto, alla fine, fu pronto.
E a quella fine poté constatare che su cinque denari potava ancora contare.
Già alla soglia, felice, s’appresta, quando una mano alla spalla lo arresta.
Messer Timoteo, dove pensi di andare? – chiede la guardia che lo tiene a parlare.
In questa mia casa, dove voglio abitare – rispose Timoteo sereno.
Tua casa? Sai dirmi, Timoteo, di chi sia il terreno?
Tace Timoteo, un po’ meno sereno.
La terra che vedi è di Lupo, il messere, che nel contado è nomato Ezechiele.
Questa tua casa qui non può rimanere, ed or con un soffio la faremo cadere.
Quando alla vista l’avrem fatta sparire, con i suoi cocci dovrai ripartire.
Prima, però, hai da pagare l’ammenda, se tu non vuoi che la prigione ti attenda.
Dieci denari la cosa ti costa.
Presto, ora dimmi, qual’è la risposta?
Cinque, sono i denari che mi sono rimasti.
La prego, signore, non pensa che basti?
Mi segua, Timoteo, che la prigione l’attende, amaro rifugio per ogni pezzente.
In questa fiaba morale non c’è.
Se non che chi è solo e pensa per se, difficilmente ottiene per tre.
Se, poi, fortunato neppure lo è, neanche quel poco mantiene per sé.

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