martedì 27 novembre 2007

L'agnello smarrito

C’era una volta un piccolo agnello che si era smarrito.
S’era attardato, sulla strada dei monti, attratto da un cespuglio di erba più verde, e quando s’era voltato, aveva scoperto che il gregge s’era allontanato ed era scomparso oltre la curva, laggiù a valle.
Aveva cercato di correre per raggiungerlo, ma era inesperto e, tentando una scorciatoia del sentiero, era finito nel mezzo dei rovi, solo e imprigionato.
Il suo timido belato era troppo debole per raggiungere le orecchie del pastore, che fischiettando roteava il suo bastone in direzione delle pecore più lente, spingendole in avanti, verso il recinto per la notte.
Il piccolo agnellino chiamò a lungo e ogni volta che si protendeva in avanti la lana del suo vello s’impigliava sempre più ai rovi.
Non passò molto che il sole prese a discendere oltre la catena dei monti che s’erano lasciati alle spalle e le ombre della sera allungarono le loro dita lungo il sentiero che il gregge aveva percorso.
Il piccolo agnellino tremava.
Ma non per il freddo.
Per i racconti.
Si, ora gli tornavano alla mente tutte quelle storie che le grandi pecore del gregge narravano alla sera, alla luce del fuoco del bivacco del pastore.
Era l’Ezechiele, il grande lupo, dagli occhi di sangue e dai denti enormi, l’indiscusso mattatore di ciascuno dei racconti.
Storie di stragi e crudeltà inaudite.
Perpetrate – immancabilmente - col favore delle tenebre, su questa o quella pecora, su questo o quell’agnello, che, questa o quella volta, s’erano smarriti.
E l’Ubaldo, il grande cane bianco, ogni giorno confermava quei racconti, coi suoi ringhiosi rimbrotti, col suo asfissiare chi s’attardava e rimaneva indietro.
L’Ubaldo, che non mancava mai di rammentare d’essere la guardia di tutti e il protettore d’ognuno.
L’Ubaldo ch’era il baluardo, l’intrepida difesa, contro la minaccia continua del famelico Ezechiele.
L’agnellino tremava, volgendo i grandi occhi spalancati alle ombre che ormai lo circondavano.
Ma nella valle, il pastore, contando il gregge che entrava nel recinto, s’avvide dell’assenza.
Preoccupato, scrutò l’ultimo tratto del cammino percorso quella sera in cerca dell’agnello.
Il sentiero era vuoto, d’un vuoto desolante.
Febbrile, chiuse il recinto e comandò all’Ubaldo la più attenta guardia.
Ed imbracciato il suo nodoso bastone, s’avviò, rapido, a ripercorrere i suoi passi.
Camminava veloce, camminava guardando a destra e a manca, camminava richiamando il piccolo disperso.
E infine l’agnellino, senti, lontano, il familiare fischio del pastore.
Belò tremante, richiamando il salvatore.
Il pastore lo raggiunse e con tre colpi del suo nodoso bastone si fece strada tra i rovi.
Quando fu al sicuro, sul collo del grande pastore, l’agnellino si rallegrò dello scampato pericolo.
Per quella volta l’Ezechiele non l’avrebbe avuto per cena.
Tornarono alla valle ed al recinto.
Ma il piccolo agnellino non vi fece rientro.
Era il venerdì di Pasqua.
Ed il pastore, la santa ricorrenza doveva festeggiare.
E fu così che il piccolo agnellino fece le veci di un altro noto agnello.
Per i monti e per le valli è noto a tutti il motto:
Chi pecora si fa, il lupo se la mangia.
Ma da quella santa sera non meno vero apparve, sicuro, questo detto:
Chi agnello solo resta, il pastore è chi lo scanna.

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