martedì 27 novembre 2007

La corsa nel bosco

C’era una volta un lontano paese dove – si diceva – vi fosse una grave carestia.
Si diceva, e probabilmente non era una bugia.
Ma al castello e nei granai del re non se ne aveva traccia ed anzi, mai come allora i banchetti erano stati più ricchi e fastosi.
Ciò non di meno questo non impediva ai maggiorenti del regno di esercitare con scrupolo e dedizione i loro gravosi doveri.
Ed infatti, con intrepida dedizione, a turno, ciambellano e gabelliere sollevavano la nobile terga dalla tavola imbandita per ricordare al popolo, assiepato nel cortile, le paterne raccomandazioni del vice-re, del re e dello stesso imperatore, lontano, molto lontano, ma sempre paterno.
L’epoca delle vacche grasse è finita – dicevano – E’ l’ora dei sacrifici e dell’indefesso lavoro.
(Il popolo ascoltava perplesso, e si sbirciava in viso, chiedendosi chi avesse mai goduto - a sua insaputa - di quelle vacche grasse).
Basta con l’iniquo privilegio d’un campo certo da dissodare!
Che alla vanga s’appresti il più forte e il più valente, scalzando l’ozioso e il fannullone.
Che l’egoismo dei contadini padri receda, al fine, per la fortuna dei contadini figli.
Orsù, gente del contado! Staremo tutti certo meglio, se avremo più messi nei granai e meno inutili pance da sfamare!
E venne così il giorno che gli araldi del regno raggiunsero ogni contrada con un nuovo editto.
Con il rullar dei tamburi lessero a gran voce.
Per volere del re e del grande imperatore, il vice-re decreta che ai giovani contadini, ai contadini cui è morta la vacca, ai contadini cui il gelo ha bruciato le gemme, ai contadini cui la grandine ha devastato i fiori, ai contadini cui la siccità ha inaridito i solchi, ai contadini cui la schiena ha fatto difetto e alle contadine tutte, sia oggi concessa l’opportunità del bosco.
Che ognuno corra senza indugio nella macchia, sopravanzando l’altro, e solo al primo arrida la fortuna del successo.
Udite, udite!
Per un intero giorno un campo intero da zappare.
E per mercede il buon cuore del signore.
Orsù, correte senza indugio alla bisogna, che già sciolti avete i cani alle calcagna.
Quanto son buoni, vice-re, re e lontano imperatore – dicevano correndo i giovani contadini, i contadini cui era morta la vacca, i contadini cui il gelo aveva bruciato le gemme, i contadini cui la grandine aveva devastato i fiori, i contadini cui la siccità aveva inaridito i solchi, i contadini cui la schiena faceva difetto e le contadine tutte – Son così buoni e generosi da offrirci una simile opportunità!
Certo, chi è lento sarà raggiunto dai mastini.
Chi è distratto finirà nel fosso.
Chi è sfortunato incontrerà il grande lupo.
Ma qualcheduno giungerà alla meta!
Ed i più lenti furono raggiunti dai mastini.
I più distratti finirono nel fosso.
Gli sfortunati incontrarono il grande lupo.
Ma qualcheduno giunse alla meta.
E dall’alba al tramonto lavorò la terra, godendo del buon cuore del signore (una zuppa di rape).
L’indomani, prima che il sentore del sole si mostrasse nell’oriente, fu svegliato dal latrare dai cani e si lanciò per il bosco in una nuova corsa.
Ma il grande Ezechiele l’attendeva, per un invito a pranzo che non poté rifiutare.
Al castello si levarono i calici al successo della strenua lotta contro la carestia.
Più messi nei granai e meno pance da riempire era stata una geniale soluzione.
Certo, c’era quella moria di contadini a disturbare un po’.
Ma nuove braccia arrivavano già a nuoto dagli aridi paesi a meridione.
E del resto, chi aveva mai avuto la notizia che di contadini ci fosse carestia?

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