mercoledì 28 novembre 2007

Sulla costruzione della sinistra d'alternativa

BREVI APPUNTI SUL PERCORSO DI COSTRUZIONE
DI UNA SINISTRA DI ALTERNATIVA IN PROVINCIA DI FROSINONE

Preliminarmente alcune considerazioni metodologiche.
Le organizzazioni che il PRC ha chiamato per verificare le possibilità e le condizioni per la costruzione di una sinistra d’alternativa sul nostro territorio sono diverse. Sulla base di questa diversità scelgono di operare il loro intervento politico su piani differenti – da quello sociale a quello sindacale, a quello culturale, a quello istituzionale -, piani differenti ma complementari ed interdipendenti e, sicuramente, di pari dignità. Pertanto non ci pare opportuno denominare la “cosa” una “consulta” (chi consulta e chi è consultato?) e a puro titolo di esempio proponiamo la denominazione di “coordinamento”.
Proprio sulla base del carattere orizzontale del tavolo che stiamo aprendo e delle diversità della stessa ragion d’essere dei soggetti coinvolti va inoltre chiarito come il giudizio su di un governo (e su di un programma di governo) non si basa sulla sua collocazione “geografica” o “geometrica” nello spazio. Ogni giudizio si basa o si dovrebbe basare sull’analisi dei suoi soggetti sociali di riferimento, dei “poteri” che lo sostengono ed imprescindibilmente, dalle sue politiche economiche e sociali.
Chi fa politica su piani che non sono quello istituzionale – e quindi non è condizionato dalle congiunture elettorali – non può che valutare i governi e le loro azioni sulla base delle politiche materiali che esprimono e, dunque, anche in fase “programmatica” le scelte che si enunciano sono dirimenti: o c’è una condivisione o, comunque, l’eventuale governo eletto sarà una controparte dell’organizzazione sociale, sindacale o culturale portatrice di scelte alternative rispetto a quelle contenute nel programma.
Questo significa che le priorità che il tavolo dovesse assumere non sono negoziabili su altri tavoli o attraverso le cosiddette “primarie”. Diversamente i partiti attueranno le proprie strategie elettorali consapevoli dell’alterità di chi è portatore delle priorità disattese.
Qualche appunto politico
Porsi nell’ottica della costruzione di una sinistra d’alternativa, riconduce allo schieramento sociale, politico e istituzionale che negli ultimi due anni si è andato di fatto formando a partire dal sostegno al referendum sull’articolo 18 per giungere all’impegno sui temi della pace e contro la guerra.
Questo percorso di aggregazione passa però necessariamente per la definizione di un programma condiviso.
Un programma in grado di delineare le discriminanti “alternative” al quadro dato, “alternative” a quelle compatibilità di sistema (parametri di Maastricht, patto di stabilità, politica dei redditi) all’interno delle quali passa la sola via dell’alternanza.
Alternanza che è omologazione nella gestione di politiche vincolate ed imposte da scelte macroeconomiche in realtà sottratte alla sovranità democratica ed al controllo popolare.
Le elezioni europee sono state un sostanziale referendum contro l’Europa di Maastricht. Se il fallimento delle elezioni nei nuovi paesi ha mostrato infatti come in questi l’unificazione sia sostanzialmente vissuta come un’annessione, la sconfitta dei “governi” – di ogni colore – è suonata come una sonora bocciatura delle politiche sociali imposte dalla BCE.
Quella che è uscita sconfitta dalle elezioni europee è proprio la logica dell’alternanza: senza alcuna differenza, chi è al governo ha perso sulle politiche sociali perché è in crisi l’idea stessa, condivisa dai governi di ogni colore, dell’Europa di Maastricht codificata nel trattato costituzionale che verrà assunto a novembre.
Il tracollo dei governi socialdemocratici (con la significativa eccezione del caso spagnolo, del resto appena all’inizio) ha mostrato in questo ancora una volta l’illusorietà di una gestione temperata delle politiche monetariste ed iperliberiste imposte dalla BCE e sostenute diligentemente ed intransigentemente dalla Commissione presieduta da Romano Prodi.
L’assunzione programmatica di discriminanti “alternative” riveste dunque il carattere dell’imprescindibilità se non si vuole che un eventuale successo elettorale sia immediatamente vanificato dalle pratiche di governo e divenga il preludio per una resa alla destra di un paese irrimediabilmente devastato socialmente e culturalmente.
In Italia le elezioni europee possono essere lette come una doppia sconfitta della logica dell’alternanza. Da una parte è saltato il patto sociale che aveva portato all’elezione di Berlusconi (e in questo particolare rilevanza assume la nuova posizione della Confindustria dell’era Montezemolo) ma è uscita sconfitta anche l’ipotesi ulivista. Quello che resta in piedi è il disegno confindustriale di Montezemolo e di banchitalia, neocentrista e neo concertativo, che si candida a riorganizzare l’area moderata con le sponde politiche ed istituzionali trasversali ai due schieramenti politici. Questo non significa necessariamente che il Governo Berlusconi sia arrivato al capolinea e sicuramente non significa che sia meno pericoloso e devastante, ma qualunque strategia d’alternativa deve fare i conti con l’opzione assunta dai poteri forti del paese per non consegnare a questi il paese stesso, ottenebrata ed abbacinata dalla necessità dell’abbattimento del totem berlusconiano.
La strategia neo-centrista e neo-concertativa ha due limiti intrinseci. Da una parte, come l’incontro tra le parti sociali ha dimostrato, con il bluff del bon ton montezemoliano cui hanno significativamente ed immediatamente creduto (ricordiamo le pressioni esercitate sulla cgil) Ds e Margherita, la crisi neo-liberista è tale da non consentire alcuna concessione al tavolo della concertazione. Dall’altra le condizioni materiali di larghi strati della popolazione sono divenute tali da non consentire più (vedi gli autoferrotranvieri, Scanzano, Melfi, ecc.) alle organizzazioni di massa concertative di esercitare il controllo sociale assicurato dopo gli accordi del ’93. Da Genova in poi per la prima volta in Italia mobilitazioni, lotte e vertenze di massa sono state avviate, condotte ed anche vinte nonostante, se non contro, gli apparati delle organizzazioni concertative.
Al di là delle analisi e delle architetture tattiche, strategiche e programmatiche, dunque, qualunque costruzione di una sinistra di alternativa non può che passare attraverso la sconfitta di questo disegno neo-centrista e neo-concertativo, attraverso la cura delle lotte che sole possono minarlo alla radice.
Se avremo la capacità di sostenere il conflitto, avremo anche acquisito la forza contrattuale per sedere ad altri tavoli e condizionarli nel segno dell’alternativa, altrimenti la prospettiva sarà di impotenza dinanzi ad accordi elettorali determinati comunque al ribasso.
Da queste valutazioni nasce la considerazione che vuole qualunque ipotesi di costruzione della sinistra d’alternativa sul nostro territorio legata alla capacità di saper coniugare la lotta al generale, costituito dalle compatibilità imposte dal governance neo-liberista, con la vertenzialità locale, in una pratica che non può racchiudersi in una successione di tavoli ma che deve trovare concreti riscontri, stimoli e verifiche nella realtà sociale del territorio.
Da queste considerazioni sommariamente espresse traggono origine le proposte programmatiche del comitato locale di Attac Italia che vogliono essere sin da subito anche proposte concretamente operative (ovviamente non esaustive) d’una sinistra d’alternativa sul nostro territorio.
Le proposte
La costruzione di una sinistra d’alternativa passa per il “No alla guerra No al liberismo”, coniugato in questi anni dal movimento dei movimenti.
“No alla guerra senza sé e senza ma”. A livello territoriale è indispensabile una rivisitazione critica dell’impegno (meglio sarebbe parlare di disimpegno) delle organizzazioni presenti al tavolo del Comitato “Fermiamo la guerra” di Frosinone. Condizione fondamentale perché l’impegno programmatico sia credibile è il rilancio del comitato con la programmazione di iniziative partecipate sul territorio che diano stabilità e continuità all’azione pacifista.
“Contro la precarizzazione del lavoro, per l’abrogazione della legge 30, ma anche del pacchetto Treu e non solo”. Al di là delle enunciazioni di principio e delle iniziative assunte o che verranno assunte a livello nazionale, a livello locale è necessaria un’azione di contrasto che impedisca la reale attuazione – tutta al di là da avvenire – dell’applicativo della legge 30. Detta azione si può concretamente esprimere sia attraverso la non sottoscrizione a livello sindacale degli indispensabili accordi applicativi e sia a livello di istituzioni locali attraverso il contrasto all’emanazione dei provvedimenti delegati e impedendo e riducendo il proliferare delle forme di contratto atipiche nella pubblica amministrazione e nei servizi appaltati dalle amministrazioni pubbliche.
“Contro le privatizzazioni e per la ripubblicizzazione dei servizi pubblici”. A livello territoriale questa priorità programmatica passa per il reale varo della Multiservizi tra Regione Lazio, Provincia di Frosinone, Comuni di Frosinone, Alatri ed altri. Per l’affidamento a detta multiservizi (e non a società private e a cooperative) di tutti i servizi utili (compresi quelli remunerativi), per il suo adeguato finanziamento e per l’assunzione in essa di tutti i precari interessati. Passa per un percorso di ripubblicizzazione dei servizi sociali attualmente appaltati a cooperative in danno degli operatori sociali che vi lavorano, per la ripubblicizzazione dell’acqua e per l’intransigente opposizione a qualsiasi ulteriore privatizzazione.
“Contro la finanziarizzazione dell’economia”. Su questo processo, da cui discendono le scelte macroeconomiche che presiedono agli accordi di Maastricht e al patto di stabilità che in undici anni hanno spostato tra l’11 e il 13% della ricchezza dal lavoro alla rendita finanziaria, nei prossimi mesi si gioca una partita fondamentale, principale scopo non dichiarato della cosiddetta riforma pensionistica. Questa partita è costituita dal trasferimento forzato, attraverso il meccanismo del silenzio/assenso, del TFR dei lavoratori ai Fondi Pensione. A livello territoriale deve essere coordinata una campagna che informi i lavoratori e li inviti ad esprimere nei sei mesi concessi il proprio dissenso al traferimento.
“Per l’abrogazione della Bossi/Fini ma anche della Turco/Napoletano” L’impegno sul territorio contro le logiche xenofobe e razziste deve concretizzarsi nell’impegno delle istituzioni e degli enti locali in concrete politiche di accoglienza, sostegno e integrazione.
“Per la democrazia partecipativa” L’assunzione del bilancio partecipativo nelle amministrazioni locali deve essere un metodo concreto di gestione politico/amministrativa e non più una vacua intenzione se non una mera affermazione di principio.

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