mercoledì 28 novembre 2007

Cosa bolle nella pentola delle pensioni

Occorre mettere mano alla spesa previdenziale troppo alta.
E’ inevitabile rivedere i parametri di calcolo della pensione pubblica (cioè ridurre ulteriormente le future pensioni calcolate con metodo contributivo).
Bisogna finanziare i fondi pensione con il TFR.
Queste sono tre cose che in questo momento ci vengono ripetute in maniera ossessiva e che, se comunque riferite alla questione previdenziale, non sembrano necessariamente connesse l’una all’altra.
Infatti.
Quella della spesa è questione che si riferisce all’eccessiva incidenza che le pensioni avrebbero – ora – per l’economia del Paese.
Quella dei parametri è il supposto, eccessivo costo che avranno le pensioni non prima di qualche decennio a venire.
Quella del TFR è presentata come la questione che riguarda il reddito dei pensionati del futuro, colpiti dal taglio della pensione pubblica.
Se un esame appena non “pigro” mostra l’inconsistenza delle argomentazioni che sostanziano le singole questioni – e sulle quali non mi soffermo, rimandando a quanto pubblicato sul sito www.perlapensionepubblica.it – quello che mi pare rilevante sottolineare è, invece, proprio l’intimo legame che lega l’insieme delle questioni.
Preliminarmente mi corre l’obbligo di precisare come la spesa previdenziale, al contrario di come ci viene presentata nulla “vulgata” mass mediatica, non è cosa che attenga ai conti pubblici ed al bilancio dello Stato.
L’INPS non è mai andata in rosso e se si eccettuano le “fiscalizzazioni” e cioè le “regalie” governative ai datori di lavoro, lo Stato non ha mai messo un centesimo per le pensioni.
In realtà quando si parla di riduzione della spesa previdenziale, si parla di riduzione del costo del lavoro per le imprese. Ovvero, di liberazione di risorse che, in teoria, dovrebbero produrre nuovi investimenti e nuova occupazione, ma che nei fatti (vi ricorda niente la moderazione salariale?) produrrebbe aumento dei profitti e delle rendite.
Fatta questa necessaria precisazione, mettere accanto a questo richiamo al contenimento della spesa la questione del TFR nei fondi evidenzia una palese contraddizione.
I contributi, allo stato (evito le quote decimali) pesano per il 33% della retribuzione, con una quota del 23% (18% per le pensioni e 5% per gli altri istituti) a carico del datore di lavoro ed una del 10% a carico del lavoratore.
Con la trasformazione del TFR in un versamento previdenziale la spesa sale dal 33% al 40% ed oltre (se calcoliamo anche le quote aggiuntive nei fondi).
Come? il peso della spesa previdenziale è eccessivo e lo aumentiamo di oltre il 20%?!
La spiegazione è nella ripartizione della spesa.
In questo caso, mentre a carico del datore di lavoro la spesa al momento resta al 18%, la quota a carico del lavoratore sale al 17% ed oltre.
E’ a questo punto che entra in gioco la revisione dei coefficienti per il calcolo della pensione pubblica.
Se a parità di anni lavorati e di contributi versati si riduce l’assegno della pensione, si riduce il fabbisogno necessario all’erogazione delle pensioni pubbliche correnti in quel momento.
Cioè occorreranno meno soldi, aprendo così la strada ad una riduzione del carico contributivo … indovinate per chi?
Nella sostanza si potrebbe arrivare ad una vera e propria inversione del carico contributivo tra datore di lavoro e lavoratore, realizzando un ulteriore effetto perverso delle cosiddette riforme previdenziali.

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