martedì 27 novembre 2007

La previdenza del re

C’era una volta un re molto, molto previdente.
Il fiume attraversava il suo regno ristorandolo con la sua acqua cristallina.
Il sole lo scaldava senza bruciarlo.
Le stagioni vi si susseguivano miti.
I suoi campi erano ben coltivati.
Un re meno previdente avrebbe dormito sonni tranquilli. Ma non il nostro re. Lui si interrogava sul futuro più lontano.
E se il fiume si inaridisse?
E se il sole si spegnesse?
E se le stagioni si rivoltassero?
E se i campi fossero mal coltivati?
I pensieri avevano tolto il sonno al nostro previdente re, finché una notte insonne salì sulla torre più alta del più alto castello del regno.
Lì dimorava Filemazio, astrologo e grande mago del regno.
Filemazio – domandò il re – Sai dirmi se il fiume si inaridirà? Sai dirmi se il sole si spegnerà? Sai dirmi, ancora, se le stagioni si rivolteranno? Sai dirmi, infine, se i campi saranno mal coltivati?
Filemazio rifletté a lungo prima di rispondere.
Mio re, nel percorso delle stelle che io scruto ogni notte, non mi è dato di trovare le risposte alle tue domande, troppo arcane per la mia povera scienza. Ma non ho cuore di lasciarti deluso e qualcosa ti dirò. Anche se viene dallo studio delle stalle, piuttosto che da quello delle stelle.
Bada bene, mio re.
E’ l’abbondanza ciò che minaccia il tuo regno.
Che dici Filemazio!? – esclamò il previdente re.
Il tuo satollo contado – concionò il mago d’indiscussa sapienza – prolifica nella grascia e, ben nutrito, alla vita s’affeziona ed è restio a lasciarla quando è l’ora. Di rincaro, ricorda che la pancia piena mal si concilia alla fatica e avrai, di là negli anni, troppe bocche fameliche e campi mal trattati. In un solo suono: carestia!
Confermato come fu nelle sue ambasce, il buon re si mise senza indugio alla bisogna.
All’abate del tempio chiese menzione di formiche e cicale all’omelia.
Ai santi gabellieri, di mondare della grascia il suo contado.
Ai frati, di lame affilatori, di sfoltirne i ranghi.
Posto rimedio all’oggi, si premurò per i domani.
L’araldo, a gran voce lesse l’editto.
Il nostro saggio e previdente re, al fine d’impedire l’avvento sulle nostre terre della carestia, decreta che d’ora in avanti sia un pugno di farina la mercede per la terra che lavora il contadino.
Ma attenzione, villica gente!
I sacchi ch’oggi - pugno su pugno - fanno il totale, sono per numero quelli e quelli soli che, d’ora in avanti, i contadini si potran spartire.
- Che vuole dire?
- Figlia meno e con giudizio, villano, se non vuoi patire.
E fu così che sul regno di quel re previdente il fiume continuò a scorrere, ristorandolo con la sua acqua cristallina, il sole continuò a riscaldarlo senza bruciarlo, le stagioni si susseguirono sempre miti e i campi restarono ben coltivati.
Grazie alla previdenza del re ogni rischio di carestia era stato scongiurato e a corte si viveva felici e sereni.
A corte.
Nel contado,
- oppressi dalla colpa d’aver troppo figliato -
- oppressi dalla colpa d’aver troppo campato -,
potevano sentirsi sollevati ‘che la fame che teneva loro compagnia non fosse frutto della carestia.

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