domenica 2 dicembre 2007

Emerald - Capitolo 9

Entrato in camera, aprì sul letto la cartina e mise la punta della penna sulla sala mendelevio.
Studiò il percorso che si disegnava.
Avrebbe dovuto raggiungere lo spazioporto e risalire il suo perimetro verso nord.
Passato il terminal immigrati, giudicò in alcune centinaia di metri, comunque in non oltre un chilometro, la distanza che lo separava dal varco di ingresso alla zona produttiva.
Lì ci sarebbe stato il problema della sorveglianza, ma lo avrebbe affrontato sul momento.
Passato il varco, avrebbe dovuto continuare in linea retta, per un altro chilometro, lasciandosi alla destra la recinzione dello spazioporto e superando, sulla sinistra, due quadrilateri.
Quindi doveva svoltare a sinistra e a poche centinaia di metri, alla fine del primo quadrilatero, si sarebbe trovato di fronte, sulla destra, la sala del mendelevio.
Ripeté più volte il percorso mentalmente per fissarselo nella memoria. Dopodichè guardò l’ora, erano passate le diciannove e mezza.
Valutò che a passo tranquillo, tale da non destare sospetti, avrebbe raggiunto la sala in un’ora e decise di prendersi un buon margine per i possibili imprevisti e, quindi, di cominciare ad avviarsi subito.
Ripiegò e si mise in tasca la cartina e si guardò allo specchio.
Per quanto ne capiva, poteva essere scambiato per un qualunque miner di Emerald.
Soddisfatto lasciò la stanza.
Salutò con un sorriso Annie, che aveva ripreso il suo servizio quella sera, ed usci in strada.
Come fu uscito, Annie compose un numero sulla consolle della reception.
La sera era gradevole, come una serata di tarda primavera su New Yale, e per Arthur non fu difficile simulare un’innocente passeggiata.
Raggiunse rapidamente lo spazioporto e si incamminò verso nord.
Passò dinanzi all’ingresso del terminal immigrati, che era sbarrato e buio, e proseguì.
La strada era deserta. Solo in lontananza si vedeva qualche veicolo sfrecciare veloce.
Finiti gli edifici dei terminal, costeggiò la recinzione dell’astroporto, da dove si vedeva a distanza, all’altro capo del piazzale di cemento, il movimento di grossi mezzi di trasporto, intorno ad un paio di carghi spaziali. Evidentemente una nave mercantile era in orbita intorno al pianeta e le operazioni di carico non si fermavano neanche la notte.
Arrivò alla fine della recinzione e si trovò al varco.
Era un semplice spazio tra due pali.
Libero dalla luce verdognola, che congiungeva la teoria dei pali, che si susseguivano da quel secondo palo in direzione nord.
In corrispondenza del secondo palo c’era una sorta di garitta chiusa.
Il posto di controllo della sorveglianza, penso Arthur.
Con l’aria più innocente che gli riuscì di assumere, si avvicinò alla garitta, ma non gli riuscì di scorgere nessuno.
Incredulo dell’opportunità che sembrava presentarglisi, provò a proseguire oltre il varco.
Nessuno lo fermò.
Nonostante cercasse di imporsi il contrario, accelerò progressivamente l’andatura, finendo quasi per correre.
Solo dopo almeno un centinaio di metri riuscì a rallentare e a riassumere l’andatura tranquilla che s’era ripromesso.
Con la coda dell’occhio tentò di gettare uno sguardo alle sue spalle, temendo d’essere stato individuato e magari inseguito.
Ma tutto era tranquillo.
Respirò profondamente e proseguì.
Non vide e non incontrò nessuno, fino a quando non arrivò in vista della sala mendelevio.
Guardò l’ora.
Aveva quasi mezz’ora di anticipo sull’orario della riunione.
Decise di attendere al riparo di una grossa attrezzatura, piazzata all’esterno di un capannone un po’ discosto rispetto all’ingresso della sala.
Voleva farsi un’idea del partecipanti osservandoli arrivare.
Dopo un quarto d’ora iniziarono ad arrivare alla spicciolata dei miners, uomini e donne, tutti nella tuta verde scuro, tutti silenziosi.
Arrivavano e, contrariamente a quanto s’era aspettato Arthur, senza alcun rituale, aprivano la porta della sala ed entravano.
L’unica particolarità era il grosso fagotto, che uno dei primi miners aveva portato con sé entrando.
Arthur attese che fossero quasi le ventuno.
Fino a quel momento aveva contato in una cinquantina i partecipanti alla riunione e, fra questi, aveva riconosciuto il barista della sera prima.
A quel punto si risolse e, uscito dal suo riparo, si avviò alla porta della sala ed entrò.
Il barista lo riconobbe quasi subito, gli andò incontro con un sorriso cordiale e gli parlò all’orecchio.
- Speravo che arrivasse. Da quel che ha detto il capitano Gile, avevo capito che non aveva il rivelatore radio e poteva unirsi a noi
- Perché, voi non l’avete?
L’uomo sorrise e piegò la testa mostrando la base del collo, dove si vedeva il segno di una piccola cicatrice.
- Liberati – disse.
- Ma, mi è stato detto che se si estrae …
- Questo è quello che pensa la Mines & Stars – lo interruppe l’uomo – Ma noi abbiamo trovato il modo di spegnerlo. Così – e aprì, come petali di un fiore, le dita che aveva stretto, congiungendo i polpastrelli.
Ad Arthur brillarono gli occhi.
- Ma allora anche Jhob …
- Si – lo prevenne l’uomo, assentendo con il capo.
- Sono suo amico. Sono qui perché lui mi ha scritto – cercò di chiarire Arthur.
- Fratello – l’uomo aveva richiamato, con discrezione, l’attenzione di uno dei presenti – Quest’uomo è un rainbowed e un amico di Crhistiansen.
L’uomo, un anziano con una corona di capelli candidi intorno ad una vasta pelata, lo guardò intensamente.
- Ma Jhob, dov’è? Come sta? – chiese Arthur.
- Non lo sappiamo - rispose l’uomo – E’ partito tre mesi fa
- Lo so, per la regione di Aither.
- E, come ci aveva preannunciato, ha interrotto ogni contatto – continuò il barista – La Compagnia, con gli uomini in nero, gli stava troppo addosso.
- Pensano che abbia avuto un incidente.
- Più che altro lo sperano – disse in un sussurro una donna dalle forme generose, che s’era accostata, sempre con discrezione, insieme ad un piccolo gruppo di altre persone.
- Sentite – chiese Arthur – non capisco. Ma non c’è un sistema di sorveglianza satellitare, un sistema di controllo con videocamere? Come può essere sufficiente disattivare il rilevatore radio, per svanire nel nulla?
Lo guardarono con sorrisi indulgenti.
L’uomo anziano si incaricò di rispondergli.
- Evidentemente non le hanno illustrato compiutamente le caratteristiche del nostro sole, Uraneo, combinate con le caratteristiche dell’atmosfera di Emerald. Le sue radiazioni non hanno solo l’effetto ottico che colpisce tanto voi rainbowed. Hanno anche altre caratteristiche. In particolare quella di interferire con le onde elettromagnetiche, rendendo praticamente inutilizzabili i segnali che non siano trasmessi via cavo. La Compagnia ci sta lavorando, ma, per il momento, non si è neanche avvicinata alla soluzione del problema. Non è riuscita neanche ad organizzare un sistema di telecamere per controllare la città e deve accontentarsi dei segnalatori radio.
Tutto quel conciliabolo s’era svolto nei pressi della porta del locale, ma ora stava accadendo qualcosa.
Una donna anziana, con i capelli grigi raccolti in una crocchia sulla nuca, batté due volte le mani.
Tutti assunsero un’espressione seria e, disponendosi in fila indiana, iniziarono a sfilare dinanzi alla donna.
Questa, dopo averne indossata una, prendeva dal fagotto che aveva ai piedi, una tunica d’un verde chiarissimo, che Arthur valutò come bianco candido, sotto la luce di un altro sole, e rivolgeva una serie di domande alla persona che aveva davanti.
- Sei puro tra i puri?
- Io vanto di appartenere alla stirpe beata – era la risposta rituale
- Cosa ti è accaduto?
- Il destino e la folgore mi hanno inaridito.
- Perché ti è accaduto?
- E’ la punizione inflitta a causa di opere non giuste.
- Cosa desideri?
- Essere condotto alla sede dei pii.
A questo punto la donna aiutava l’altro ad indossare la tunica e, reclinando il capo, recitavano in coro:
- Io meno una vita santa, indosso bianchissime vesti, fuggo le tombe e mi guardo dal cibarmi di esseri animati.
Dopo questo rituale, ognuno dei partecipanti si spostava, lasciando il posto al successivo nella fila, per andare a posizionarsi in modo da formare un circolo intorno alla donna.
Arthur osservava affascinato e perplesso quel rituale, in cui riconosceva inequivocabili simbologie orfiche.
Il barista l’invitò con un sorriso a disporsi nella fila dinanzi a lui.
Arthur ebbe solo un attimo di esitazione, se voleva saperne di più, doveva adeguarsi di buon grado.
Si mise in fila, e quando fu il suo turno, rispose con sufficiente precisione alle domande della donna.
Raggiunse il proprio posto nel cerchio con la sua tunica e attese il seguito.
Quando il cerchio fu completo, la donna parlò con voce sommessa.
- Fratello Samuel, informa i puri tra i puri.
Un uomo dalla corta barba castana alzò il capo e, passato uno sguardo sul cerchio, disse:
- Il fratello Jhob è vicino al Chronos e alle prove della colpa, lo sappiamo. Eppure, mai come in questo momento, la Compagnia e gli uomini in nero sono pericolosi. Essi ci danno la caccia. Sanno che devono farci tacere. Sanno che noi possiamo svelare all’universo intero la loro colpa. La colpa che, tramite loro, abbiamo su di noi. La colpa che ci siamo impegnati ad espiare. Nelle prossime settimane dovremo diradare i nostri incontri. Dovremo triplicare le nostre precauzioni nel contattare i fratelli perduti, a cui illuminare la via, con la fiaccola della rivelazione. Dovremo …
- Siete circondati – una voce amplificata li aggredì dall’esterno – Uscite con le mani alzate!
Nella sala la confusione esplose improvvisa.
Nel parapiglia Arthur si senti prendere per la mano e tirare verso il cassonetto del mendelevio.
La piccola figura che lo tirava, sollevò una grata dal pavimento e si calò all’interno, facendo segno ad Arthur di seguirla.
Come Arthur fu entrato, la giovane e minuta ragazza riposizionò la grata, proprio mentre gli uomini in nero facevano irruzione nella sala.
Si spinsero nel buio del condotto, trattenendo il respiro.
Le urla e i suoni salirono d’intensità, per poi decrescere, lentamente, in lamenti ed ordini brutali.
Infine fu silenzio, irreale, rotto solo da alcuni passi.
- Non è tra gli arrestati – la voce del capitano Gile – Dov’è finito, quel figlio di puttana?
- Il rilevatore indica che è ancora qui dentro – un’altra voce.
- Chiama la squadra – ancora il capitano – Smontiamo questo posto mattone per mattone.
La ragazza tastò febbrile il collo di Arthur, poi, frenetica, lo frugò, finché non sentì sotto le dita la piantina con la penna che Arthur teneva nella tasca.
Quasi gliele strappò di dosso.
La punta della penna emanava un tenue lucore fosforescente.
La posò al suolo.
Poi toccò il braccio di Arthur a preavvertirlo e lo prese per mano, mettendosi in moto lungo il condotto.
Avanzava lentamente, in silenzio, facendo attenzione a non fare il minimo rumore.
Fecero alcune decine di metri, fino a raggiungere un’altra botola.
La ragazza di fermò e con cautela sollevò la grata, quel tanto sufficiente a gettare uno sguardo al pavimento di quel locale.
L’ispezione doveva essere stata soddisfacente, perché spostò la chiusura e si issò sul pavimento del locale, aiutando Arthur a seguirla.
Rimisero a posto la grata ed Arthur si guardò intorno.
Erano in una sala simile a quella del mendelevio, forse un po’ più piccola, e i rumori che provenivano dall’esterno, dicevano che gli uomini in nero erano pericolosamente vicini.
- Vieni – sussurrò la ragazza e cominciò ad arrampicarsi sul cassone del metallo che veniva raccolto in quella sala.
Proseguì lungo le strutture metalliche del nastro trasportatore e, giunta alla sommità, salì sul nastro avventurandosi su questo, risalendo fuori della sala.
Arthur la seguì.
Si trovarono fuori, sul quel nastro non più largo di un metro, che correva ad una decina di metri dal suolo.
La perenne luce fredda di Emerald City non arrivava ad illuminarli ed i due procedettero un po’ curvi, con Arthur felice di non soffrire di vertigini.
Seguirono a ritroso il percorso del nastro trasportatore, allontanandosi dalla sala del mendelevio e dai mezzi della sicurezza, che lampeggiavano nella notte.
Passarono altri due capannoni, prima di discendere al suolo, in prossimità di una sorta di pista per monorotaia, che correva ad un paio di metri d’altezza, allontanandosi verso l’interno della zona industriale.
Corsero lungo il percorso della monorotaia, protetti dalle strutture della stessa e dalla sua ombra.
Si fermarono, senza fiato, ormai lontani.
Avevano raggiunto i pozzi estrattivi.
Degli uomini in nero non c’era traccia.

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