domenica 2 dicembre 2007

Emerald - Capitolo 27

Le montagne erano cessate ed ora, dinanzi a loro, s’apriva un bassopiano acquitrinoso, in cui il panorama era disegnato dal fitto e sottile ordito verde chiaro della terra emersa, che sembrava adagiato sul fondo verde scuro, a volte quasi cupo, delle aree sommerse. Qua e là, gli acquitrini si allargano in palude.
Il vento, teso e costante, manteneva l’aria limpida e chiara, togliendo a quell’immagine, l’aura malsana che Arthur aveva sempre attribuito, su altri mondi, a quegli ambienti.
- Stiamo entrando nell’Aither – disse semplicemente Ingrid
Arthur si rese conto solo in quel momento di non avere, anzi, di non aver mai avuto un piano.
Da quella sera - un milione di anni prima - quando era uscito dal pozzo con Marta, aveva avuto solo un’idea in testa, andare nell’Aither in cerca di Jhob.
Ed ora, dopo aver conosciuto il gigantismo spropositato e sfacciato di Emerald, quella sua pretesa gli appariva ridicola in maniera disarmate.
Rise.
Ingrid lo guadò, perplessa.
- Che ti prende?
- Sono un pazzo, Ingrid. Un topo di biblioteca pazzo – disse scuotendo la testa – Come ho potuto pensare di trovare Jhob in un territorio così vasto? Potremmo vagare per anni senza vedere nulla, senza incontrare la minima traccia.
Ingrid fece un sorriso obliquo, ma restò in silenzio.
- Non so cosa avevo in testa. Prima di arrivare qui, per me, Aither era poco più di un nome. Forse mi aspettavo qualcosa come una vallata, una regione limitata, misurabile. Una specie di luogo mitico, come il nome che gli hanno dato. Non ho neanche pensato che fosse quello che non poteva che essere. Una parte rilevante, significativa, di un intero pianeta. … Che follia … Non ho la minima idea di dove andare, di cosa fare.
- Ma io si – fece Ingrid, scuotendo la testa.
- Davvero?
- Certo. Non è la prima volta che vengo da questa parte di Emerald e, quando ho accettato di accompagnarti, io sapevo quello che facevo - poi, dopo averci ripensato per un attimo – Anche se allora non sapevo di guidare un bugiardo, a cui dava la caccia mezza Confederazione.
- So che non mi crederai mai. Ma non avevo la minima idea di cacciarti in questo guaio.
Lei gli diede un buffetto al fianco col braccio immobilizzato.
- Ma la cosa peggiore è che ancora non ho capito di che guaio si tratti - aggiunse Arthur, sospirando.
- L’unica è comunque trovare il tuo amico e Klaus. Se ci riusciamo, avremo da loro le risposte.
- Allora, signora guida, non sarà giunta l’ora che lei cominci a guadagnarsi il compenso?
Ingrid lo gratificò di un’occhiata inceneritrice.
Poi rispose seriamente.
- L’Aither è una regione molto vasta, certo, ma è nella maggior parte del suo territorio impraticabile. Tutto l’interno è come lo vedi, un acquitrinio ininterrotto con argini fangosi, dove piove, quando il tempo è bello, i tre quarti dei giorni dell’anno. Praticamente è quasi impossibile trovare un tratto all’asciutto così largo e così solido da farci posare un’aeronave. E poi non c’è acqua. Da bere, intendo dire. Quello che vedi è una specie di brodo denso di organismi vegetali microscopici in sospensione. Se la Nemo di Klaus ha avuto un incidente da queste parti, non avremmo molto da recuperare, ormai.
- Il relitto?
Ingrid scosse la testa.
- La Compagnia ha effettivamente inviato una spedizione … - fece una smorfia – diciamo di soccorso. Ed allora le ipotesi sono due. O non ha effettivamente trovato nulla, come risulta ufficialmente. O ha fatto sparire le prove.
- Come fai ad essere certa che avrebbero trovato il relitto?
- Vedi, per l’Aither tutte le aeronavi seguono la medesima rotta. Dalla Cruna diritti fino all’oceano. La strada più breve, insomma. Non ha alcun senso allungare il viaggio. E’ arrivati sulla costa che le cose cambiano. Comunque, la formazione standard delle spedizioni della Compagnia è di tre mezzi.
- L’ho notato.
- Quella era una pattuglia, scemo.
Il buffetto, questa volta, fece un po’ male.
- Il raggio di perlustrazione di tre navi è sufficientemente ampio per coprire abbondantemente l’intera larghezza del corridoio in cui si sarebbe potuta trovare la Nemo.
- E cosa succede di speciale sulla costa?
- Sulla costa le cose cambiano. Il terreno torna a salire e si crea una fascia asciutta che, sul versante esterno prende in pieno gli schiaffi dell’oceano, ma sul versante interno, quello riparato, è un trionfo di vegetazione. Tra i boschi e le grotte, i dirupi e i fiordi scavati dal mare, posti dove nascondersi e passare inosservati se ne possono trovare quanti se ne vuole. E credo proprio che il tuo amico non intendesse farsi trovare dai soccorsi.
- E noi? Come pensiamo di poterli trovare?
- Sono qualcosa più di duemila chilometri di costa. Inizieremo prima in direzione sud e, poi, eventualmente, andremo in direzione nord.
- Ma quanto tempo ci potremmo impiegare?
- Hai qualche impegno per le prossime settimane?
- No.
- Allora, perché ti poni il problema?
Il tempo stava cambiando. Nuvoloni scuri correvano loro incontro veloci e, ben presto, l’atmosfera si tinse dei colori del crepuscolo
Un accecante lampo, d’un verde elettrico, tagliò nel mezzo il paesaggio e il tuono, lungo e profondo, precedette solo d’un attimo il cadere della pioggia, scrosciante ed obliqua, incattivita dal vento.
Per il resto della giornata il tempo non migliorò, né mutò il paesaggio.
Alla sera Arthur si sentiva stremato, come se l’avesse trainata, la Green Queen.
Già si stava domandando come avrebbero fatto a passare la notte, quando il cielo dinanzi a loro parve dischiudersi e in lontananza apparve la linea ondulata, più scura, che indicava la fine della palude e l’inizio della terra ferma e dei boschi.
Fece atterrare la Green Queen in un’ampia radura, che s’apriva in un vasto bosco, posato su di un pendio orientato ad est.
Liberò il braccio di Ingrid, che provò le articolazioni.
Con grande soddisfazione di Arthur, sembrava perfettamente guarito.
Aveva cessato anche di piovere e Arthur sentiva il bisogno di uscire, di mettere i piedi fuori dell’aeronave.
Da quanto era che non lo faceva?
Si rese conto che l’ultima volta che l’aveva fatto era stato dall’altra parte della Dorsale, nel piccolo cimitero greenfree … a più di una vita di distanza.
- Usciamo?
Ingrid assentì.
- Voglio farti vedere una cosa.
E sorrise in maniera enigmatica.
L’aria era densa d’umidità, profumata di terra bagnata e di salsedine.
Il vento, che in alto correva verso occidente, teso, con raffiche violente, discendeva più dolce, giù per il pendio, cantando tra le fronde degli alberi.
Arthur capì che quella non era la terra del silenzio. Del silenzio che tanto l’aveva colpito di là, dall’altra parte della Dorsale. Questa era la terra dove Emerald faceva sentire, alta, l’incontrastata potenza della sua voce.
C’era il canto delle fronde degli alberi, certo, ed anche l’ululato incessante e potente del vento, là in alto. Ma, basso e profondo, era un respiro, lento e ineluttabile, a catturare, ad entrare in vibrazione con il suo animo.
- Vieni – gli disse Ingrid.
S’era avviata risalendo il pendio.
Il terreno era bagnato e un po’ scivoloso, ricoperto di un’erba molto simile a quella dei prati che avevano sorvolato quella mattina.
S’aiutavano, per non cadere, sostenendosi ai tronchi di alberi con i rami corti e orientati verso l’alto, dalle piccole foglie, carnose ed allungate, come piccole lame.
In alto, quando il pendio si faceva più dolce e gli alberi cessavano, il vento li aggredì, quasi a ricacciarli indietro.
Il suo ululato s’era fatto più acuto, ma il respiro più potente.
Ingrid cercò la sua mano e piegati, contrastando la forza del vento, avanzarono in un’aria gonfia di salsedine.
La sommità del pendio era di roccia nuda, aspra ma, allo stesso tempo, addolcita dal continuo modellare della pioggia e del vento, che avevano finito per scolpirla di figure fantastiche.
Ingrid, stringendogli la mano, lo esortava ad andare avanti.
Il cielo s’era aperto e, verso oriente, le prime stelle cominciavano ad accendersi.
Fece gli ultimi passi e lo vide.
L’oceano.
Lì, alcune centinaia di metri più in basso … l’oceano.
Non aveva, non trovava parole.
Lontano, in quell’immensità tumultuosa, s’alzavano, meglio, si gonfiavano onde mostruose che, con inesorabile lentezza, s’avvicinavano alla costa per aggredirla, improvvisamente rapide, con un’esplosione di spumeggiante violenza, lasciandola attonita, nella voragine della risacca.
E la costa era la testimonianza di questa potenza.
Frastagliata, scavata dal mare, frantumata in scogli e faraglioni, sembrava ritirarsi innalzandosi in scogliera. Come un gigante che tenesse sollevate le braccia, ad ultima difesa, contro un aggressore inarrestabile.
Era lì, in alto, su quella rupe a qualche centinaio di metri di altezza, eppure Arthur sentiva l’irrazionale timore di poter essere raggiunto, catturato, travolto da quell’oceano.
Tornarono alla Green Queen alla luce delle stelle e mangiarono un pasto caldo.
- La prima volta è un’esperienza irripetibile – commentò Ingrid.
Arthur, alle prese con la propria pochezza, assentì distrattamente.

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