domenica 2 dicembre 2007

Emerald - Capitolo 12

Si lavarono e Marta diede a Arthur una tuta verde scuro di ricambio, tra le molte e di diverse taglie - erano in dotazione con l’appartamento - che aveva in un armadio a scomparsa.
Era l’unica cosa abbondante in quella casa.
Arthur si guardò intorno.
La casa era un monolocale con uno stanzino servizi annesso.
Era molto piccola e nei pochi metri quadri si affastellavano in disordine, un letto a cuscino d’aria, un tavolo con due sedie, un proiettore olografico e una gran quantità di memorie nelle loro custodie a disegni vivaci.
- Tra poco scendiamo a mensa per la cena – disse Marta.
Arthur sospirò, aveva preso una decisione.
- Io non verrò – e con una mano frenò la reazione della ragazza – Rifletti. Nessuno sospetta di te, nessuno ti cerca. Tu puoi riprendere la tua vita normale e lavorare per la Società, come se ieri sera non fosse successo nulla. Io no.
Il capitano Gile mi conosce e mi sta cercando. Se restiamo insieme e Gile mi trova, nella rete finisci anche tu e sappiamo bene, purtroppo, che già in troppi ci sono finiti ieri sera. Tu sei necessaria libera.
- E tu? – chiese la ragazza – Da solo, cosa pensi di fare?
- Devo lasciare Emerald City. In città prima o poi mi prenderebbero. L’unica cosa che posso pensare di fare è cercare di raggiungere Johb, di capire che vuole da me, perché mi ha contattato.
- Ti servirà un contatto con un indipendente – la ragazza, ragionevole, aveva accettato la cosa come la soluzione più giusta.
- Come posso fare?
- Hanno un pub dall’altra parte dello spazioporto, dietro i depositi per le spedizioni. Ma non ti sarà facile arrivarci. Dopo la zona uffici c’è un lungo tratto di strada completamente allo scoperto. Qualunque mezzo della sorveglianza ti noterà. Quella non è una zona dove passano miners.
- Dovrò correre il rischio – rispose con un’alzata di spalle - E del resto non saprei come cambiarmi, non posso certo tornare all’Emerald’s Door!
- Non mi piace – disse Marta – E’ troppo rischioso.
- Va bene, ma in fin dei conti cosa rischio? Sono un libero cittadino della Confederazione e non ho violato nessuna legge della Confederazione. Di cosa potrebbe accusarmi, cosa potrebbe farmi il capitano Gile? Non ha neanche la prova che io fossi presente alla riunione di ieri sera. La carta potrei averla persa, o mi potrebbe essere stata rubata. Non credo che si arrischierebbe più di tanto. Probabilmente mi metterebbe sulla prima astronave di passaggio.
- Col rischio che tu faccia scoppiare uno scandalo nella Confederazione? Ricorda che la Mines & Stars è stata capace di tutto.
- Uno scandalo? E con quali prove? Tutto è stato messo a tacere trent’anni fa ed io, senza incontrare Jhob, che elementi nuovi potrei portare, ora?
Al momento dei saluti Marta gli si strinse al collo, abbracciandolo forte forte e Arthur la baciò sulle guance.
Scese in strada e s’incamminò con passo deciso a destra, in direzione sud, come gli aveva detto Marta.
Avrebbe dovuto camminare sempre dritto, sino a trovarsi sulla destra, ad un isolato di distanza, l’Emerald’s Door.
A quel punto avrebbe dovuto girare a sinistra e raggiungere l’astroporto.
Da lì non avrebbe dovuto fare altro che seguirne il perimetro, sino ad arrivare dall’altra parte, nella zona dei depositi di minerali e trovare il pub degli indipendenti.
Dopo quasi mezz’ora fu in vista dell’Emerald’s Door.
Tutto era stato tranquillo e Arthur cominciava a sperare di arrivare sino in fondo.
Anche se con la scarsità di pedoni, che mano a mano aumentava, aumentavano i rischi di essere individuato da qualche mezzo nero.
Raggiunse l’astroporto e riprese a camminare verso sud, costeggiandone la recinzione.
- Salga, signor Temple, prima che qualcuno ci veda.
Arthur si volse e, sbalordito, si trovò di fronte il piccolo signor Ciang, che gli faceva segno si montare sull’auto dal fiammeggiante monogramma della Mines & Stars.
- Vuole proprio che qualche mezzo della Sicurezza si incuriosisca? – chiese il signor Ciang, con una venatura di impazienza.
Arthur guardò in alto.
Non c’era in vista alcun “corvo” nero, e si decise a salire al fianco del signor Ciang.
Il mezzo planò velocemente verso l’alto.
- Lei non è stato sincero con me, signor Temple.
- Quali sono le sue intenzioni, signor Ciang?
- Quali pensa siano, signor Temple?
- Intende consegnarmi al capitano Gile?
- Se avessi voluto farlo, non mi sarei preso il disturbo di attenderla al varco. Non crede?
- Dove pensa stia andando?
- Al pub degli indipendenti, ovviamente. Deve lasciare Emerald City al più presto – sorrise - Il capitano Gile è un uomo senza alcuna immaginazione.
- Che intenzioni ha?
- Di aiutarla, mi sembra chiaro.
- … Perché? Lei è un uomo della Compagnia.
- Della Mines & Stars, non dell’amministrazione di Emerald. Gli interessi della Compagnia non sono necessariamente coincidenti con quelli di chi gestisce questo progetto. Per il momento questo le deve bastare. Anche se il suo comportamento mi ha creato qualche imbarazzo su questo pianeta, non le chiedo di fidarsi di me, non le chiedo quali sono i suoi piani, accetti semplicemente il mio aiuto.
- Il capitano Gile le ha creato problemi?
Scrollò le spalle.
- Sono fuori dalla giurisdizione del capitano Gile.
- Come pensa di aiutarmi?
- Per prima cosa non sarebbe mai riuscito ad attraversare il lato sud dello spazioporto senza essere individuato. Il capitano Gile non avrà immaginazione, ma non è uno sciocco. Un miner che se ne va a spasso da quelle parti è più evidente di un faro spaziale. La accompagnerò con questo mezzo.
Poi, non può presentarsi al pub vestito come un miner, non è credibile. Le ho portato dei vestiti, normali. Indossando quelli verrete classificato come straniero, come rainbowed, e non è male. Sono i rainbowed che, in genere, affittano le carrette.
- Ha pensato a tutto?
- Sono un uomo previdente.
- Mi scusi, ma non sono portato a credere che qualcuno faccia nulla per nulla.
- Non ho detto questo, signor Temple. Diciamo che in questo momento i nostri interessi sono coincidenti.
- E domani?
- Chi può dirlo, signor Temple?
- Dove sono i vestiti?
- Qui dietro. Si cambi signor Temple.
I vestiti gli calzavano alla perfezione ed anche le scarpe, di morbida pelle che si sarebbe detta naturale, gli entrarono come un guanto.
- Credo di doverla ringraziare – mormorò al signor Ciang.
- Forse un giorno avrà modo di sdebitarsi, signor Temple. Non se ne faccia un problema.
Il mezzo stava sfrecciando, ora, lungo la strada che costeggiava il lato sud dell’astroporto.
Sul lato opposto alla recinzione si estendeva una pianura brulla e polverosa, totalmente priva di qualunque manufatto.
Arthur comprese che non avrebbe effettivamente avuto alcuna speranza di percorrere quella strada inosservato.
Ancora una volta il signor Ciang gli si era dimostrato prezioso.
La recinzione cominciava a piegare verso nord e, ben presto, iniziarono ad incontrare sulla strada edifici industriali che, mano a mano, s’andavano infittendo.
Il mezzo planò dolcemente, andando a fermarsi su ciglio della strada.
- Il pub è più avanti, sulla destra, ad un paio di centinaia di metri – disse il signor Ciang – Non è il caso che faccia un ingresso, scendendo da un veicolo della Compagnia.
Arthur annuì e si preparò a scendere.
- Ha sufficienti crediti? – gli chiese ancora il signor Ciang.
- Si – rispose Arthur – Li ho portati sempre con me.
- Allora, buona fortuna signor Temple – e fece un inchino un po’ più solenne, in segno di saluto.
- Spero di rivederla – rispose Arthur, accennando col capo una risposta, per poi offrire all’altro la mano
- Credo che questo avverrà, signor Temple – disse il signor Ciang, stringendogli la mano.
Arthur aspettò che il mezzo si rialzasse in volo e con un’ampia virata, tornasse dalla direzione da cui erano arrivati, poi si volse e si avviò verso il pub.

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