domenica 2 dicembre 2007

Emerald - Capitolo 20

Due forti braccia, magre e muscolose, si protesero ad afferrare per le spalle Ingrid e, senza apparente sforzo, la tirarono su, fuori dall’acqua.
Poco dopo Arthur si sentì afferrare sotto le ascelle e, scalciando nell’acqua, cercò di aiutare lo sforzo di quell’inaspettato salvatore.
In breve si trovò disteso su un piano di tronchi grezzi.
Vide l’uomo di spalle, chinato su Ingrid e sentì la ragazza tossire.
L’uomo si girò verso di lui.
Portava lunghi capelli annodati dietro la nuca, castani, come la barba che, fluente, gli incorniciava il viso.
Gli occhi, azzurri, lo esaminarono attenti e seri. Poi, con un braccio, sollevò per la nuca la testa di Arthur e, con l’altra mano, gli avvicinò alla bocca una ciotola di legno.
Arthur bevve un sorso.
Gli parve che un fuoco liquido gli fosse penetrato dalla gola sino allo stomaco.
Ma poi, si sentì rinfrancato.
L’uomo s’era alzato e ora tornava con due coperte che distese su di loro.
Lentamente Arthur si sollevò, prima su un gomito, per poi sedersi, avvolgendosi in quella calda coperta, che sembrava intessuta di una fibra lanuginosa.
Anche Ingrid, al suo fianco, s’era seduta, rincantucciata nella coperta.
L’uomo, un greenfree, era tornato alla poppa di quell’imbarcazione e aveva preso a governare un complicato sistema di corde e tiranti, che sembrava comandasse la vela triangolare, sostenuta dall’albero che s’alzava verso la prua, e che era agganciata ad una sorta di boma, parallelo al piano di tronchi.
La vela, gonfia del vento da nord est, stava facendo prendere velocità all’imbarcazione, che ora sembrava quasi volasse sul pelo dell’acqua, inclinandosi paurosamente sulla sinistra, mentre risaliva la corrente del Big Bert.
Arthur ricordava quel tipo di imbarcazione, per averne viste sulle spiagge della sua terra, quando era un ragazzo.
Era una sorta di catamarano, con due tronchi più grandi e pesanti posti alle estremità laterali e che fungevano da galleggianti e contrappeso.
Su questi poggiava l’intavolato -una sorta di zattera- fatto di tronchi grezzi, legati tra loro con una specie di forti liane.
Un foro nell’intavolato era la sede dell’albero, controventato da altre liane, che erano assicurate ai bordi dell’intavolato e alla sommità dell’albero stesso.
Arthur ricordava vagamente che quel tipo di velatura consentiva alle imbarcazioni di navigare controvento, di bolina, come gli sembrava si dicesse, rendendole efficienti, specie, pensò, lungo il corso di quel fiume, al riparo di tempeste e mareggiate, cui sarebbe stata soggetta sull’oceano.
Uraneo era ormai tramontato oltre la scogliera, e la luce del giorno si andava spegnendo, colorando di sfumature opache l’acqua.
Il greenfree manovrò perché l’imbarcazione s’accostasse alla scogliera e la vela prese ancora più vento, accelerandone la corsa.
Davanti a loro l’ombra della scogliera, ancora ad una certa distanza, presentava una crepa.
Il greenfree fece correre l’imbarcazione nuovamente parallela alla costa, finché non raggiunsero una sorta di insenatura che s’apriva improvvisa.
Sembrò che il greenfree fosse impegnato nell’esecuzione di una complessa sinfonia, tanto complessi e precisi furono i suoi gesti e le sue azioni.
Ma il risultato fu che l’imbarcazione entrò come d’incanto in quell’insenatura, dove l’acqua riposava al riparo dalla corrente del grande fiume.
L’acqua arrivava a lambire la ghiaia di una spiaggetta, che si apriva a mezzaluna, sul lato a monte.
La spiaggetta s’arrestava su un boschetto di alberelli, che coprivano tutto quel piano, delimitato dalle rocce che, ripide, salivano sino alla sommità, ad un’altezza di un centinaio di metri.
Il resto di quella piccola baia era rocce e scogli, che la separavano dal lento scorrere del fiume.
Il greenfree aveva ammainato la vela e l’imbarcazione andò a posarsi sulla ghiaia, spiaggiandosi appena un po’.
Per tutto il viaggio nessuno dei tre aveva detto una sola parola.
L’uomo fermò la vela contro il boma con una liana, e, recuperata una grande sacca, scese sulla spiaggia mormorando:
- Venite.
Arthur ed Ingrid si guardarono appena. Lentamente e con fatica si sollevarono in piedi e lo seguirono.
L’uomo aveva lasciato cadere la sacca sulla ghiaia asciutta e si era avvicinato ai piccoli alberi.
Sembrava osservarli con attenzione.
Ne sfiorava il tronco, carezzando con i polpastrelli delle dita i rami.
Poi, con estrema cura, distaccava un frutto alla volta, facendo attenzione a non piegare troppo il ramo in quell’operazione e non prelevando mai due frutti dallo stesso albero.
Arthur lanciò un’occhiata perplessa ad Ingrid, che guardava attenta l’uomo. Lei gli rispose con un’alzata di spalle che Arthur interpretò per: “Greenfree”.
L’uomo tornò con una dozzina di frutti di diversa qualità.
Si sedette a terra, invitandoli con un gesto ad imitarlo e dispose tra loro i frutti.
- Mangiate i doni dei fratelli verdi – disse – Sono buoni e nutrienti, per chi è in pace coi fratelli.
Ingrid prese un frutto piccolo e tondeggiante e l’addentò.
La sua espressione fu di piacevole sorpresa.
- E’ dolce – disse.
Arthur si fece coraggio e scelse un frutto oblungo, più grande degli altri.
Ne staccò un piccolo boccone con un morso.
Era più consistente di quanto si sarebbe aspettato ed il sapore era strano, ma gradevole.
Mangiarono ogni tipo di frutta, commentando tra loro le sensazioni che ne ricavavano con brevi parole.
Finirono rapidamente e si scoprirono sazi, come dopo un pranzo consistente e, pensò Arthur, decisamente più gratificati rispetto al pasto sintetico aromatizzato dei distributori della Mines & Stars.
- Vi dobbiamo la vita – disse Arthur, sorridendo all’uomo.
- La vita è un dono. Ma non è a me, che dovete il vostro dono.
- A dio? – provò a chiedere Arthur, interpretando in chiave mistica il tono pacato e grave delle parole dell’altro.
- Dio? – il greenfree sembrò perplesso - Ah, si, comprendo a cosa ti riferisci – aggiunse, come se avesse ricordato allora.
Arthur ed Ingrid si scambiarono un’occhiata.
- Come ti chiami? – chiese Ingrid.
- Uomo – rispose. Poi, come colto da un dubbio, chiese – O vuoi conoscere il nome che mi distingueva tra gli uomini?
- Ecco. Quello – rispose Ingrid con una punta di irriverenza.
- Carl … Ma dovete avere pazienza con me. Faccio fatica, ormai, ad usare il linguaggio degli umani.
- Vivete solo? – gli chiese Arthur.
- Vivo coi fratelli – e, con un ampio gesto, indicò il boschetto alle loro spalle.
- Senti, potresti esserci ancora d’aiuto. Abbiamo avuto un incidente. C’è modo di raggiungere un insediamento della Compagnia o, magari, un campo attrezzato di qualche indipendente? – chiese Ingrid, che cominciava a ragionare in termini pratici.
Il greenfree scosse il capo.
- Per prima cosa dovete liberarvi della morte – rispose, sibillino e con lo stesso tono – Ma quelli che hai nominato, sono luoghi dove regna la morte.
- Certo, non mi dispiacerebbe sbarazzarmi della morte, se fosse possibile – fece ironica, Ingrid – Perché, tu, hai trovato il modo?
- Un giorno, finalmente, mi unirò ai fratelli nella pace.
- Ma cosa intendete – lo incalzò Arthur – quando dite che ci dobbiamo liberare della morte?
- Sventrate il cuore della madre. Troncate, strappate, bruciate i suoi figli. Tutto è distrutto al vostro passaggio e sulle vostre ceneri non cresceranno che ceneri. Vi nutrite del corpo dei fratelli, generando morte, che genera morte.
- Senta – protestò Arthur – Lei ci ha scambiato per altri. Noi non siamo della Compagnia. Noi non c’entriamo con quello che ha combinato su Emerald.
Il greenfree ebbe un sorriso mesto.
- La Compagnia è solo la morte generata dalla morte - disse – Guardate dentro voi stessi. Solo così troverete il sentiero che porta alla salvezza.
- Dentro noi stessi? Siamo noi che portiamo morte?
- Quando vi nutrite. Quando vi vestite. Quando vi muovete. Sempre. Il vostro è un cammino di morte.
- Ma anche lei mangia! Anche lei è vestito, anche lei si muove su un’imbarcazione fatta di tronchi e liane e altre cose, morte per consentirle di sopravvivere.- protestò Arthur.
- Porto su di me il dolore del mio corpo - assentì l’uomo - Da cui un giorno sarò liberato. Ma sono in pace coi fratelli. Io non rubo ai fratelli, essi mi donano quello di cui ho bisogno. Io, non uccido i fratelli. Essi mi donano la loro livrea, quando da essa è uscita ogni stilla di vita, per trasferirsi altrove. Perché la vita genera vita e non muore mai.
- Dunque – intervenne Ingrid – Se ho capito bene. Non dobbiamo spezzare nessun ramoscello, neanche un foglia. Non dobbiamo calpestare nessun arbusto. Assolutamente, non possiamo accendere fuochi. Ci mancherebbe altro! Possiamo nutrirci dei frutti degli alberi, ma chiedendo prima il permesso. Staccando il frutto con delicatezza, perché nessuno si faccia del male, per carità! E ringraziando, poi, per il gentile dono. Il legno secco lo possiamo usare, ma dopo averlo doverosamente auscultato, non si sa mai.
- Se vieni in pace – assentì il greenfree – Emerald sarà in pace con te e ti sarà concesso di andare ovunque tu vorrai andare.
- Ecco, appunto – fece la ragazza, che si sforzava di non rispondere come le sarebbe venuto spontaneo – dove potremmo andare?
- Questo non posso saperlo. Non ho idea di dove siano i luoghi che cercate. È molta la strada che ho fatto per fuggire i luoghi di morte.
Ingrid guardò esasperata Arthur, che sospirò.
- Beh, ma perché ci hai salvati – chiese, acida, al greenfree – Se siamo un ricettacolo di morte?
- La vita è un dono. Ed è dovere di ognuno preservare questo dono.
Il cerchio era completo e la conversazione esaurita.
Il greenfree estrasse da una sacca una grande coperta in cui si avvolse, stendendosi a dormire.
- Siamo nei guai – commentò Arthur.
- Considerazione geniale, campione – gli rispose Ingrid.
- Perché, cosa avrei dovuto fare?
- Almeno aspettare che fossi pronta a prendere i comandi!
- E’ vero … è tutta colpa mia.
- Va bene – aggiunse conciliante Ingrid - … forse non avremmo avuto un’altra occasione.
- Intanto quell’uomo è morto.
- E’ stato un incidente. E poi se l’è cercata.
- La cosa non mi fa star meglio.
- Pazienza – concluse Ingrid, che, avvolta nella coperta, si tolse i vestiti ancora bagnati e li stese sulla ghiaia ad asciugare, per poi coricarsi per dormire.
Dopo un momento, anche Arthur fece lo stesso.
Si sentiva stanco, terribilmente stanco, quando sentì Ingrid che gli parlava.
- Girati dall’altra parte. Non mi va di avere alle spalle un bugiardo come te.
Arrossendo, sorrise, e lievemente s’addormentò.

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