domenica 2 dicembre 2007

Emerald - Capitolo 29

Il capitano, senza muovere il capo, sollevò gli occhi dal lettore, fissandolo per un momento.
- Ah, professor Temple, finalmente ci rincontriamo.
E tornò ad esaminare il documento.
Il capitano Gile era rilassato, tranquillo.
La sua divisa nera, diversa da quella dei suoi uomini solo per i fregi che aveva sulle spalline, appariva impeccabile, come il suo viso, rasato di fresco.
Arthur si sentiva ed era sporco, sudato, puzzolente.
Profondamente inadeguato di fronte all’autorevolezza di quel suo interlocutore.
- Psicologia – si disse un po’ febbrile – è solo psicologia per mettermi in condizioni di inferiorità.
Più di quanto non lo fosse già?
Questa considerazione gli diede un po’ di fiducia.
Il capitano Gile era meno forte di quanto si era dato la pena di mostrare con tutta quella messinscena.
Ed ora anche lui avrebbe provato a giocare la sua partita.
- Dov’è la ragazza? – chiese, cercando di non far tremare la voce.
Il capitano, per alcuni secondi, fece mostra di non aver sentito la sua domanda.
Poi, come avesse finito il suo lavoro, spense il lettore, lo scostò e con calma fissò Arthur.
- Lei, professore, pensa di essere nelle condizioni di fare domande? – chiese.
- Sono un cittadino della Confederazione. E conosco i miei diritti. Quali sono le ragioni per le quali mi trattenete? Quali leggi avrei violato? – disse Arthur, cercando di mostrare una determinazione che non possedeva.
Il volto del capitano Gile si allargò in un cordiale sorriso.
- E’ divertente, professore. Davvero divertente. Sono sinceramente dispiaciuto di tutte le nostre incomprensioni. Evidentemente siamo partiti con il piede sbagliato e non siamo ancora riusciti ad incontrarci – sospirò – Vede, professore. Sarà il caso che lei comprenda in maniera chiara, inequivocabile, quali sono i reali termini della situazione che ci vede entrambi partecipi, ma con ruoli differenti.
Si era alzato e si era portato davanti alla scrivania, in piedi di fronte ad Arthur.
Improvvisamente lo colpì con un violento manrovescio sulla guancia sinistra, che fece rovinare Arthur a terra.
Con calma, si avvicinò ad Arthur che, tiratosi in ginocchio, stava cercando di rimettersi in piedi.
Lo afferrò di fianco per i capelli e lo costrinse a guardarlo negli occhi.
- La Confederazione è lontana, molto lontana – disse, con voce tra il tranquillo e l’annoiato – e qui, la legge, sono io. Per il suo bene, professore, cerchi di farselo entrare nella testa. Lei, al contrario, professore, è merda, solo schifosa merda puzzolente, che posso scaricare, quando e come voglio, nello scarico del cesso.
Tornò a sedersi nella sua poltrona e aggiunse, con voce amabile.
- Si sieda.
Arthur, barcollando, ubbidì.
- Non è mia intenzione fare ricorso alla violenza – disse il capitano - non me ne dia, quindi, ancora adito.
- Cosa vuole da me?
- Allora, professor Temple. Lei è arrivato su Emerald … quanti giorni fa?
- … Non lo so. Ho peso il conto.
- Glielo dico io, professore. Quattordici giorni fa.
- Solo quattordici? – chiese, incredulo, Arthur.
- Già, solo quattordici. Pochi, vero, professore? Anche se in realtà sembrano molti, moltissimi. Direi più che sufficienti, per lei.
- Cosa intende dire?
- Le sono bastate … quante, due? Tre ore? Per incontrare, diciamo così, casualmente, un esponente di una certa organizzazione sovversiva … Come si chiama? A già: La Società dei Naufraghi del Chronos. E le sono bastate meno di ventiquattro ore per essere ammesso ad una riunione di vertice di questa organizzazione.
- Non è come sembra, capitano.
- Infatti, professor Temple, nulla è come sembra. Infatti, casualmente. Sempre casualmente, professore. Un esponente di spicco di questa organizzazione è un certo professor Christiansen. Per caso, professor Temple, mi dica, non è che lei conosca il professor Christiansen? Non mi dirà che, per un destino fortuito, lei è addirittura un amico, mi verrebbe da dire, un sodale, del professor Christiansen? Ma, soprattutto, non crede che sarebbe veramente affascinante la casuale eventualità che lei sia venuto sin qui, da, come dice, New Yale, proprio su invito del professor Christiansen?
- Ma non ho mai negato di conoscere Jhob. Né di essere venuto su Emerald perché lui mi aveva scritto – protestò Arthur.
- Già. Per i suoi studi di archeologia su Emerald. Vero professore? Su un pianeta che non ha mai conosciuto, non dico una forma per quanto primitiva di civiltà, ma neanche una forma di vita animale!
- Ma è così! – quasi gridò Arthur.
- Si sta comportando male, professore. Devo ricordarle qual è la sua posizione?
Arthur tacque.
- Prendiamo pure per buona la sua buona fede, professore. Per il momento. Ma mi dica, come spiega qualche altra eventualità … straordinaria, che si è verificata, con lei protagonista? A poco più di ventiquattro ore dal suo arrivo a Emerald City, lei, che non sa niente della città, che non conosce nulla della sua organizzazione, è l’unico che riesca a sottrarsi alla retata, che ci ha consentito di arrestare cinquantadue esponenti dell’organizzazione sovversiva. Non solo, sfugge all’arresto, strisciando come un ratto che conosce perfettamente la sua fogna e svanisce. Scompare nel nulla, per quasi un altro giorno. Per ricomparire, come per magia, al pub degli indipendenti. Come ha fatto, professore, ad attraversare quei tre chilometri allo scoperto, senza essere visto dai miei uomini? Chi lo ha aiutato, professore?
Arthur rimase in silenzio. Suo malgrado trovava più che giustificata l’ironia del capitano Gile.
- Ma non è finita, ancora – continuò l’uomo in nero – Lei, al pub, con chi va a prendere contatto? Proprio con Ingrid Carter, la socia di quel Klaus Berensky, che era l’uomo del professor Christiansen e che è svanito nel nulla con lui.
- Carter, Ingrid si chiama Carter – pensò Arthur, che realizzò di non averlo mai scoperto in quei giorni.
- Sinceramente, professore, lei pensa che qualcuno possa onestamente credere che queste siano, tutte, straordinarie coincidenze verificatesi … per il capriccio del caso?
- No, capitano. Onestamente no.
- Bene, professore. Vedo con piacere che ha disposto il suo animo ad un atteggiamento più ragionevole. Soprattutto per la sua incolumità.
- Ma ho ben poco per dimostrarle la mia buona fede, capitano.
Il capitano Gile sospirò.
- Facciamo così. Io le faccio un quadro, diciamo di fantasia. Lei me lo trasformi in un’immagine olografica.
Arthur, assentì.
- La Società dei Naufraghi del Chronos è una nostra vecchia conoscenza. Sono anni che sappiamo della sua esistenza e l’abbiamo tollerata. Una buona regola della gestione del potere è lasciare l’illusione che esso, il potere, sia in una qualche misura aggirabile. E’ così che lasciamo che le bettole si moltiplichino per Emerald City, e che vengano impegnati gli impianti della Compagnia, per produrre quelle immonde schifezze, che passano sotto in nome di liquori. Come è così che lasciamo credere ai cercatori di essere indipendenti, di essere loro a decidere della loro miserabile vita – sorrise - Dà ai miserabili l’illusione che un po’ di furbizia consenta di vivere meglio, e tutti ci si accucceranno dentro. Felici di credere di essere tra i privilegiati. E desiderosi che nulla cambi veramente. La società, certo, era un po’ diversa. Si appoggiava sulla leggenda della Sirio e del Chronos. Ma nella sostanza si limitava ad alimentare una speranza di mutamento di là da venire. C’era l’attesa di un’improbabile ritrovamento, che confermasse le loro speranze. Nulla più di un’aspirazione, di un mugugno sussurrato. E’ chiaro il quadro della situazione?
- Si – rispose Arthur.
- In questo quadro, diversi mesi fa, si inserisce l’arrivo del suo amico, il professor Christiansen. Un professore di archeologia, che dice di essere il figlio dei coniugi Christiansen, i capi del Chronos. Il modulo precipitato in questa regione al tempo della Sirio. Il suo amico Jhob, gioca uno strano gioco. Dice di essere qui per ritrovare i resti dei suoi genitori. Ma in poco tempo diviene uno dei capi, anzi, il capo indiscusso della Società. Non basta. Trasforma la società in una specie di setta religiosa. Cambia una speranza, in una sorta di attesa messianica e trasforma la Mines & Stars, da una società che fa il suo onesto mestiere di incamerare profitti, nella stessa incarnazione del male. Ma, soprattutto, crea l’attesa per un cambiamento reale e imminente. Poi, crede bene di scomparire, qui, in questa regione. Con quel Klaus Berenky che gli fa da factotum. Infatti, abbiamo scoperto che quelli della Società avevano trovato la maniera per spegnere i segnalatori radio sub cutanei. Ed i due decidono di farlo qui. Perché? Questa è una delle domande a cui cercheremo di dare una risposta insieme, vero professore?
Arthur deglutì.
- Ma poi arriva lei. Un altro professore di archeologia. Partito sulla base di qualche strano messaggio del suo amico. All’apparenza allo scuro di tutto. Ma vittima di quella serie di circostanze fortuite cui abbiamo fatto cenno. Che, guarda caso, lo mettono sulle tracce dell’amico, fino a farlo arrivare, i misteri del caso, nell’Aither. Ho ricostruito abbastanza fedelmente i fatti, professore?
- Abbastanza – rispose Arthur.
- Bene, allora professore. Chi c’è dietro di voi?
- Dietro?
- Si. Chi è che vuole soffiare alla Compagnia questa concessione? Quali sono i suoi reali piani? Quali sono le carte che ha in mano?
- Cosa sta dicendo?
- Professore. Se lei è veramente un professore. E’ del tutto evidente che lei e il suo amico siete degli agenti venuti su Emerald, per preparare il terreno ad un cambio di gestione. E’ però anche evidente che siete sacrificabili. Siete pedine di un gioco più grande di voi. Non sia sciocco, professore. Lei è stato scoperto. Non le conviene fare l’eroe per il suo datore di lavoro. Nessuna paga vale la vita. Se vuole salvare la pelle, ha una sola occasione, venire a patti con me.
- Avete già ordinato di uccidermi.
- Non esattamente. Preferisco averla vivo. Ma la sua vita non mi è indispensabile, professore.
- E la ragazza?
- Cosa rappresenta per lei?
- E’ stata leale – rispose con prontezza di spirito.
- Può entrare nell’accordo.
- Posso pensarci?
- Ci pensi questa notte. Ma domani mattina voglio risposte chiare.
Premette un comando sulla consolle.
La porta si aprì ed entrò un uomo in nero.
- Riportate il professore nella cabina. Trattamento ordinario – gli disse il capitano Gile.
Arthur uscì e fu riaccompagnato in una cella, questa volta dotata di un cubicolo servizi e di un distributore alimentare.
Sulla branda c’era una tuta verde scuro con cui si sarebbe potuto cambiare.
Quando la porta fu chiusa alle sue spalle, Arthur respirò profondamente.

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