domenica 2 dicembre 2007

Emerald - Capitolo 11

Furono svegliati dalla messa in moto degli impianti.
La luce fredda inondò la caverna e gli ascensori iniziarono il trasbordo del personale del primo turno, dalla superficie al fondo del pozzo.
Erano gli addetti alla logistica e alle manutenzioni, che predisponevano gli impianti ed i macchinari per il personale del secondo turno, quello che avrebbe iniziato l’estrazione vera e propria del materiale dal cuore del pianeta.
Arthur e Marta osservavano il loro affaccendarsi da dietro la finestra.
Ogni ascensore sfornava ad ogni viaggio una ventina di miners e Marta gli disse che sarebbero bastati non più di due viaggi per completare il trasbordo dell’intero turno.
Tutti si muovevano sicuri e precisi, veloci e determinati, dando chiara la sensazione di conoscere il loro compito e di assolverlo con tranquilla, meccanica efficienza.
Arthur si senti nel cuore del formicaio, di un formicaio che consumava, incessante, le viscere stesse del pianeta, per nutrire quella regina, quel vagonetto autopropulsivo piantato lì, su quell’osceno altare.
Marta lo richiamò alla realtà.
- Dovremo aspettare che arrivi il secondo turno – gli bisbigliò – In un turno si conoscono praticamente tutti e saremmo notati. Con due turni è normale incrociare miners dell’altro turno che non si conoscono.
- E se qualcuno viene in questa unità?
- E’ vietato fare pause prima della seconda ora di lavoro. Qui siamo al sicuro.
- Pensi che ce la possiamo fare?
- Abbiamo un po’ di carte in mano – disse la ragazza
Arthur guardò la ragazza.
Era tremendamente giovane, e anche se quella notte aveva dimostrato di sapersela cavare molto bene, che speranze poteva avere di menare per il naso il capitano Gile e tutti gli uomini in nero della Mines & Stars?
- E quali sarebbero queste carte? – chiese.
- Per prima cosa non sanno quante persone stanno cercando e, per lo meno per quanto mi riguarda, chi stanno cercando. Non abbiamo segnalatori radio. Siamo sostanzialmente irriconoscibili in mezzo a venticinquemila altri miners. Ci muoveremo insieme a venticinquemila tute verdi scure, che, in pochi minuti passeranno, da una parte all’altra della città.
- Ma ai varchi?
- I varchi dovrebbero servire ad impedire che qualcuno entri nella zona industriale, non che ne esca – rispose paziente la ragazza – I trasporti seguono i corridoi aerei e sorvolano la barriera. Per costringerci a passare attraverso i varchi, dovrebbero eliminare i trasporti e far passare tutti i miners a piedi. E questa sarebbe una follia. Follia che per loro potrebbe risultare anche inutile. Infatti, non sanno se noi siamo ancora da questa parte della città, o se siamo riusciti a passare dall’altra, prima che sigillassero i varchi.
- Era possibile? – chiese Arthur
- Ma molto più rischioso – considerò Marta – E’ possibile che i posti di sorveglianza fossero stati attivati prima dell’irruzione e se questo fosse avvenuto, ci saremmo trovati in trappola. Comunque, siamo usciti verso est e questo ha risolto la questione. Tra noi e i varchi c’erano tutti gli uomini in nero.
- Mi avevano detto che i varchi erano sorvegliati, e invece … - fece Arthur
- E a che scopo? Perché qualcuno dovrebbe voler andare all’inferno? I varchi sono sorvegliati qualche volta – scrollò le spalle – senza una ragione, una logica apparente. Un varco è sorvegliato, altri due no. Così, forse solo per far sentire che la Mines & Stars vede e controlla. E’ la stessa barriera a non avere un senso.
- Non direi – rifletté ad alta voce Arthur – Serve a stabilire che è la compagnia a scandire il tempo di ogni uomo e di ogni donna. La barriera è l’asse del pendolo che oscilla ogni giorno, dal purgatorio delle case, all’inferno del lavoro. Dall’inferno del lavoro, al purgatorio delle case.
- E il paradiso?
- Appunto, non c’è.
- Capisco perché Jhob ti sia amico e ti abbia fatto venire – gli disse Marta, guardandolo con i suoi grandi occhi scuri – Sei qui da neanche due giorni e hai capito più cose di tutti noi, che ci siamo da una vita.
Arthur le batté una mano sulla spalla, sorridendo a disagio per quello sguardo di assoluta fiducia, che dubitava fortemente di meritare.
Guardò fuori, la situazione appariva tranquilla.
- Ma la tua assenza al lavoro non sarà notata? – chiese ancora alla ragazza.
- Ricordi? Io sono una clandestina: non mancherà nessun segnale. Poi, c’è chi mi coprirà. Ieri c’era solo una piccola parte dei giusti, solo i liberati, e non tutti.
- Parli di coloro che si sono fatti estrarre il segnalatore?
- Certo. Se troppi segnali si spegnessero, la cosa non potrebbe passare inosservata. E’ stato deciso di liberare solo coloro che svolgono lavoro di collegamento tra i diversi gruppi, in modo da poter riunire alcune decine di miners, senza che al sistema di controllo centrale si possano accorgere di nulla.
Arthur annuì.
Un’organizzazione intelligente, razionale.
E, allora, perché trasformarla in una setta religiosa?
Gli ascensori erano di nuovo in movimento. Era in arrivo il secondo turno.
Si prepararono ad uscire.
Le cabine arrivarono al fondo della grotta e scaricarono il loro carico umano.
I nuovi arrivati si avviarono decisi verso le gallerie, che partivano dalle pareti della grotta, inoltrandosi nella roccia del pianeta.
Il rumore delle macchine saliva assordante, mentre la polvere della roccia frantumata iniziava a sollevarsi in nuvole soffocanti.
- L’inferno - pensò Arthur – Mai espressione era stata più appropriata.
In uno stipetto del modulo di riposo trovarono le maschere integrali di protezione e le indossarono. Uscirono.
Nonostante le protezioni auricolari, il rumore restava molto forte e i filtri portavano alla bocca e al naso un’aria malsana.
La temperatura si stava innalzando in maniera preoccupante.
Si guardarono reciprocamente, erano assolutamente irriconoscibili. Iniziarono a muoversi per la grotta con passo deciso, su traiettorie rettilinee, diligentemente diretti ad importanti incombenze immaginarie.
Dopo mezz’ora erano stravolti dalla fatica.
Marta gli fece segno di seguirla.
Si portò all’imboccatura di una galleria che appariva inutilizzata e vi si inoltrò seguita da Arthur.
Dopo una curva della galleria si fermò, addossandosi ansimando con la schiena contro la parete di roccia.
Lì il rumore e la polvere erano decisamente più accettabili e si scostò la maschera.
- Non possiamo resistere così fino all’ora di chiusura. Questa galleria al momento è inutilizzata. L’ho tenuta d’occhio e per almeno un’altra mezz’ora, fino a che non arriva il terzo turno, qui siamo al sicuro. Se siamo fortunati e anche il terzo turno non verrà a lavorare qui, potremo restare fino alla fine della giornata.
Arthur annuì lasciandosi scivolare a terra, la schiena contro la roccia.
Quando gli ascensori preannunciarono l’arrivo del terzo turno, decisero di fare una sortita al modulo di riposo, per tentare di mangiare e bere qualcosa – la sete li stava torturando.
Furono fortunati, incrociarono a pochi passi dal modulo solo due miners che ne uscivano e non si curarono di loro.
Mangiarono due razioni sfornate dal distributore e fecero scorta di acqua.
Controllarono che i miners del terzo turno fossero arrivati e attesero che si fossero dislocati.
Il loro rifugio sembrava ancora sicuro.
Si riavviarono nell’inferno, questa volta con un effettivo, preciso obiettivo.
Nelle ore successive sonnecchiarono addirittura.
Quando arrivò l’ora di termine del lavoro del secondo turno, decisero di muoversi.
Si avviarono verso il centro della grotta e verso il condotto dell’ascensore intorno al quale, sembrava, ci fossero meno persone.
Attesero, come tutti, le maschere indosso, cercando di non dare nell’occhio.
L’ascensore arrivò al fondo della grotta e la porta si aprì scorrendo di lato.
Arthur e Marta entrarono mescolandosi agli altri.
Le porte si chiusero e l’ascensore iniziò a salire con un’accelerazione progressiva, che sembrava non dovesse mai interrompersi.
I minuti passavano e i miners iniziavano a sganciare la maschera integrale, che avevano tenuto sino a quel momento.
Arthur e Marta si guardarono indecisi su che fare.
Quando qualcuno lasciò penzolare la maschera nella mano al fianco, iniziarono lentamente a sganciare la loro.
Finalmente l’ascensore raggiunse la superficie, la porta si aprì e i miners sciamarono rapidamente fuori.
Arthur e Marta uscirono per ultimi, le maschere in mano, i volti sporchi di sudore e polvere, guardandosi attorno.
Non c’erano uomini in nero in vista.
Si liberarono delle maschere negli appositi contenitori e si allontanarono mescolandosi al flusso dei miners del secondo turno, che da tutti i pozzi si dirigevano al terminal dei trasporti.
Arthur ebbe un tuffo al cuore, quando un veicolo nero passò sulle loro teste, planando lento.
- Tranquillo – gli sussurrò Marta – Siamo miners tra miners, granelli di sabbia.
- Si – le rispose – granelli di sabbia, ma nel loro motore.
Raggiunsero senza incidenti il terminal dei trasporti e Marta, senza esitare, salì su un mezzo seguita da Arthur.
In breve furono schiacciati dalla calca sudata e puzzolente e il trasporto chiuse le porte e s’alzò dolcemente in volo, accelerando verso ovest.
Non capirono quando attraversarono il confine tra le due parti della città.
Avvertirono solo il rallentamento ed il planare al suolo del mezzo.
Quando furono fermi, le porte si aprirono e la calca sciamò a terra.
Erano al terminal, sul lato residenziale della città.
Alcuni veicoli neri volavano lenti, compiendo ampi cerchi.
Qualche uomo in nero osservava la scena, immobile, sull’altro lato della strada.
- Seguimi – gli sussurrò Marta, avviandosi con passo deciso lungo il viale.
Arthur la seguì.
Svoltarono a sinistra dopo un paio di isolati e si trovarono nel cuore della città, là dove le strade si facevano più fitte e le case più vissute.
Marta procedeva tranquilla, col passo veloce ed efficiente dei miners, del tutto simile alle centinaia di individui che li circondavano, diradandosi a raggiera, mano a mano che aumentava la distanza dal terminal.
Ad un tratto Marta entrò in un portone e Arthur la seguì.
Si infilarono in un ascensore a cuscino d’aria e salirono.
Al piano, Marta aprì la porta in fondo a destra con una tessera magnetica ed entrò. Quando Arthur la seguì la richiuse.
Ce l’avevano fatta, facilmente.
Sembrava che la caccia fosse terminata.

Nessun commento: