domenica 2 dicembre 2007

Emerald - Capitolo 30

Dopo che si fu cambiato e ripulito e dopo aver mangiato, si distese sulla branda cercando di pensare. Doveva ammettere che il quadro che s’era fatto il capitano Gile appariva decisamente plausibile.
Evidentemente, al suo arrivo su Emerald, il capitano Gile aveva pensato di utilizzarlo come pedina per i propri scopi. Di fatti, il segnalatore nella penna della piantina della città, era stato sufficiente perché consentisse alla sicurezza di arrestare decine di persone.
Poi, però, tutta una serie di fatti avevano convinto il capitano che lui fosse una pedina ben più importante nella partita che si stava giocando.
Ebbe un moto di sollievo al pensiero che Marta ed il ruolo decisivo che la ragazza aveva avuto in quelle sue prime quarantotto ore su Emerald, non fossero stati scoperti.
Come fu felice del fatto che il signor Ciang non era stato messo in relazione con la sua partenza da Emerald City.
La caccia all’uomo di cui era stato oggetto, ma anche la circostanza per la quale era ancora in vita, erano legate al quadro complessivo che quell’uomo in nero s’era fatto.
Indubbiamente le sue speranze di sopravvivere, ma anche le speranze di salvare Ingrid, erano legate alle sue capacità di soddisfare le aspettative di Gile.
Di una cosa, infatti, Arthur si era convinto.
Se, nonostante tutto, avesse persuaso il capitano Gile del suo reale ruolo in tutta quella storia. Se gli avesse fatto capire quanto realmente sapeva, e cioè nulla, avrebbe firmato la condanna a morte sua e di Ingrid.
Gile il Nero non era tipo da lasciarsi alle spalle testimoni scomodi. Ne era certo.
Il problema era allora cercare di assecondare le aspettative dell’uomo.
Ma in modo tale da rendere opportuna, se non indispensabile, la partecipazione sua e, magari, di Ingrid.
Arthur non credeva, infatti, che, una volta avuta da loro ogni possibile informazione, il capitano Gile si facesse un problema del disfarsi di loro.
Era una partita come quella che aveva giocato nel Lao Tze.
Ma Gile in Nero non era come quel Ted, non avrebbe abboccato così facilmente.
Ragionò sul quadro di cui l’uomo s’era convinto.
La loro vicenda sarebbe stata parte di una guerra commerciale interplanetaria. Una Compagnia, secondo l’idea del capitano Gile, stava muovendo le proprie carte per sottrarre la concessione di Emerald alla Mines & Stars. Jhob, prima, e lui, dopo, erano stati inviati, come agenti provocatori sul pianeta, a preparare il terreno, le condizioni per il passaggio delle consegne. A creare aspettativa e consenso al cambiamento tra i coloni.
La spiegazione complessiva era indubbiamente logica e razionale. Quelle che lasciavano perplessi erano le modalità con cui avrebbero agito gli agenti provocatori. Quale ne era la logica? Evidentemente il capitano Gile se lo domandava ed Arthur avrebbe voluto essere in grado di fornirgliene qualcuna plausibile.
Qualcosa gli si disegnò nella testa. Aveva il pregio di essere semplice e, dunque, plausibile.
Poi ricordò qualcosa che il signor Ciang gli aveva detto nel loro ultimo incontro e, addirittura, sorrise.
Cercò di dormire.
La mattina dopo, per essere credibilmente bugiardo, avrebbe dovuto essere particolarmente lucido.
Ebbe un sonno agitato e credette di ricordare di aver sognato Ingrid.
Lo vennero a prendere in quattro.
Furono impercettibilmente più gentili, ma gli storditori nelle loro mani continuarono ad avere un’aura di brutale efficienza.
Ripercorsero i corridoi e le scale del giorno prima e si fermarono alla medesima porta.
Dopo l’identica procedura, la porta si aprì scorrendo nella paratia e Arthur entrò.
Il capitano Gile era seduto nella sua poltrona, nella sua impeccabile divisa nera e leggeva, come il giorno prima, qualcosa sul suo lettore.
Arthur si fermò in piedi, al fianco della sedia metallica, aspettando in silenzio.
Il capitano parlò sottovoce al comunicatore, poi spense il lettore e lo spostò da parte, prestando finalmente la sua attenzione ad Arthur.
- Si sieda, professore. Spero abbia dormito bene.
- Ho dormito, capitano, grazie.
- Allora? Cosa ha da dirmi questa mattina, professore?
- Capitano, se collaboro con lei, avrò la sua protezione?
- Credevo si accontentasse della vita, professore.
- Aspetti che abbia finito e poi giudicherà.
- Sentiamo, allora.
- Nell’accordo è compresa anche Ingrid, capitano.
- Le ho già detto che si può fare.
- Ma lei non deve sapere nulla di quello che le dirò. Non sa niente di tutta questa storia e di quello che c’è dietro. Lei pensa che io sia solo un povero professore idealista in cerca di un amico perduto … Ci terrei a mantenere un po’ di romanticismo ai suoi occhi.
Il capitano Gile ebbe un sorriso indulgente.
- Professore, non mi importa nulla di chi e come si porta a letto. Alla sua bella potrà far continuare a credere quello che più le aggrada.
- Grazie capitano.
- Andiamo al dunque, professore.
- Jhob, capitano, è effettivamente quello che dice di essere. E’ un professore di archeologia a New Yale ed è il figlio dei coniugi Crhistiansen, i responsabili del modulo Chronos della Sirio. Circa un anno fa, nella casa paterna, ha trovato un diario del padre, Tom Christiansen, che raccontava del primo viaggio dell’astronave e di quella prima esplorazione scientifica. Purtroppo il padre di Jhob non era uno scienziato, ma anche lui un archeologo. Era la moglie, la madre di Jhob, lo scienziato che conduceva in prima persona le ricerche e che aveva fatto le scoperte.
- Che scoperte?
- Il diario su questo, appunto, non è chiaro. Tom Christiansen parla solo di una scoperta clamorosa, che metteva in discussione la stessa possibilità della colonizzazione di Emerald, sulla base delle leggi della Confederazione.
- Questa è una leggenda della Società dei Naufraghi del Chronos.
- Non le ho già detto, una volta, che le leggende e i miti popolari hanno sempre un fondo di verità, capitano?
- Vada avanti, professore.
- La cosa era comunque così clamorosa, che l’equipe dei coniugi Christiansen ritenne opportuno tenerla segreta, fino a quando non avessero raccolto tutti i dati necessari. E’ così che sono partiti per il secondo viaggio, che ha avuto l’epilogo tragico che sappiamo.
- Professore, conosco la leggenda.
- Ma quello che non sa è che Jhob è convinto di aver trovato sul diario del padre il luogo dove era diretto il Chronos e dove, con ogni probabilità, è precipitato con tutte le prove delle sue scoperte.
- Dove sarebbe questo luogo.
- E’ l’uovo.
- L’uovo?
- L’uovo che Chronos mette nel seno di Aither.
- Che sta dicendo?
- E’ mitologia, capitano, mitologia orfica. Una materia che Jhob aveva in comune con il padre. Una specie di codice per addetti ai lavori, con cui padre e figlio hanno potuto parlarsi a decenni di distanza.
- Lei conosce questo codice?
Era una domanda che Arthur sperava di sentirsi fare.
- Abbastanza, capitano. Purtroppo non ho letto il diario di Tom Christiansen. Ma credo di essere in grado di individuare i luoghi, le cose cui si riferisce, se me le trovo davanti. E’ per questo che sono venuto nell’Aither in cerca di Jhob.
- Dunque, professore, Jhob Christiansen sarebbe venuto su Emerald per completare il lavoro dei genitori.
- Cosa che, se quanto riferito da Tom Christiansen si rivelasse vero, renderebbe nullo l’atto di Concessione della Mines & Stars.
- Si, professore, ma a favore di chi?
- Vedo che lei, capitano, sta cogliendo il nocciolo del problema. Se Emerald venisse dichiarato non colonizzabile, sulla base delle leggi della Confederazione, certo la Mines & Stars perderebbe la sua concessione, ma nessun altro ne potrebbe trarre alcun giovamento. Emerald diverrebbe semplicemente un pianeta interdetto.
Il capitano annuì.
- E allora, per conto di chi lavora Jhob Christiansen?
- Capitano, ha mai riflettuto su una circostanza?
- Quale?
- Non sempre gli interessi di una Compagnia, coincidono con quelli degli amministratori di una sua azienda, capitano.
- Mi sta dicendo che Jhob Christiansen lavora per conto della Mines & Stars?
- Non solo Jhob, capitano, anche io.
- Ma la cosa non ha senso.
- Dal suo punto di vista, capitano. Solo dal suo punto di vista.
- Cosa vuole dire?
- La Mines & Stars è una … di quante … cinque? Sei? Compagnie che, da sole, producono oltre l’ottanta per cento del reddito dell’intera Confederazione. Il Consiglio di amministrazione della sola Mines & Stars è più potente dei governi di quattro o cinque pianeti centrali messi assieme. Ha idea dei profitti che incamera? Ha idea delle strategie aziendali e di mercato che vengono messe giornalmente in atto da un simile colosso? E cosa vuole che sia, per la Mines & Stars, uno stabilimento di produzione come Emerald? E’ solo una pedina, da muovere sulla scacchiera interplanetaria. Eventualmente, una pedina, se necessario, sacrificabile.
- E quale sarebbe questo gioco, in cui Emerald potrebbe essere sacrificato?
- Mi sopravvaluta, capitano. Non sono davvero così importante, da avere queste informazioni.
- Dunque lei e Jhob Christiansen avete un doppio ruolo.
Arthur annuì.
- Eventualmente trovare le prove per l’interdizione di Emerald. E creare il consenso allo smantellamento degli insediamenti della Compagnia.
- Con quali garanzie, per la Compagnia, di mantenere il controllo della situazione?
- Ammesso che Jhob trovi le prove del Chronos. Come potrebbe portarle dinanzi ad un tribunale della Confederazione? Dovrebbe passare, comunque, necessariamente per lo spazioporto di Emerald City. E per il collo di quell’imbuto si passa solo con il consenso della Compagnia. Anche se non necessariamente con il suo, capitano Gile.
Gile il Nero ora era immobile. Il volto, una maschera di pietra, gli occhi inchiodati in un punto oltre la testa di Arthur.
- Quanto le hanno offerto, professor Temple.
- Più di quanto guadagnerei in venti anni di insegnamento, capitano. Ma non mi avevano parlato dei rischi.
- La sua vita ha un prezzo più alto?
- Sarà una valutazione soggettiva, ma indubbiamente si. Le bare non hanno tasche, capitano. Da morto non saprei che farmene dei crediti.
Gile sorrise.
- Una concezione filosofica dell’esistenza, la sua, professore.
- Preferisco definirla realista.
- Cosa pensa che faccia ora io?
- Non lo so. Ma se vuole rintracciare Jhob e i resti del Chronos. Se vuole avere la possibilità di avere notizie su quello che avviene, lassù, tra le stelle lontane, ha bisogno di me.
- Io sono pagato dalla Compagnia, ricorda? Perché dovrei indagare sul suo operato?
Arthur sorrise sollevando le spalle.
- Non sempre, anzi molto di rado, gli interessi dei dipendenti coincidono con quelli del datore di lavoro.
- Questa volta sono io a dover riflettere, professore. Credo che ci rivedremo più tardi.
E premette il comando sulla consolle.
Mentre la porta tornava a scorrere, aprendosi, Arthur tentò una domanda.
- Posso vedere Ingrid?
Il capitano Gile lo squadrò per un lungo momento. Poi lo gratificò di un breve sorriso.
- Va bene, professore. Credo che a questo punto la cosa non faccia differenza.
Quindi si rivolse all’uomo in nero, in attesa sulla porta.
- Conducete il professore nell’alloggio della signorina. Dieci minuti, non di più. Poi riportatelo nel suo alloggio.
- Grazie capitano.
Ma Gile non lo stava più ascoltando.
Seguì docilmente i quattro uomini che gli facevano da scorta.
Mentre camminava per i corridoi metallici era quasi esultante.

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