domenica 2 dicembre 2007

Emerald - Capitolo 14

Mentre il faro dell'aviomobile fendeva la nebbia penicillina della notte emeraldiana, Arthur tentò di rilassarsi, sprofondando nel sedile ad aria, posto di fianco a quello di Ingrid, in quello sferoide trasparente che costituiva la parte anteriore della Green Queen e lasciava al viaggiatore la sensazione di galleggiare nel vuoto.
- Un caffè?- Propose Ingrid
- Perché no?
- Qui dietro - disse la ragazza, accennando con il capo - sulla destra, di fronte alle cuccette.
Arthur si alzò e raggiunse la parte centrale dell'aeronave.
- Com’è che sei su Emerald? – chiese, mentre armeggiava al distributore.
- Ci sono venuta coi miei vecchi, avevo cinque anni. A diciotto mi hanno detto che dovevo pagare il debito alla Mines & Stars e mi son fatta i miei cinque anni da miner. Ma a ventitre ho detto basta. I miei vecchi mi hanno dato tutti i crediti che erano riusciti a mettere da parte. Questo era il loro unico sogno, tirarmi fuori dall’inferno… - scrollò le spalle - Mi sono comprata la regina. Ora sono quattro anni che lavoro da indipendente.
- E va bene? – le chiese Arthur, porgendole la tazza calda.
- Non mi lamento. Oddio, il colpaccio non l'ho fatto. Solo piccoli giacimenti. Un po' di rainbowed portati a spasso. Ma almeno sono libera, non come i miei vecchi, miners ...
Erano ormai in viaggio da un paio d'ore e la notte senza lune di Emerald era buia.
Erano partiti acquisendo rapidamente quota ed Arthur aveva avuto modo di gettare uno sguardo d’insieme alla città - sempre più lontana - che se ne stava acquattata, poco distante dalla costa, al centro della falce di un vastissimo golfo che s’intuiva appena.
Il suo primo impatto era stato diverso, era stato dall’alto della navetta, che piombava in verticale su quel bersaglio.
Ora, il centro non era la città.
La città diveniva sempre più un particolare defilato, una macchia, uno schizzo, una ferita grigio verde tra il verde smeraldo dell’oceano, che s’incendiava là dove Uraneo andava a tramontare, e il verde brillante della foresta, che si estendeva immensa, infinita, oltre l’estremo limite dell’orizzonte.
All’inizio era stato il mare, quell’oceano che avvolgeva per intero Emerald, a catturare la sua attenzione, con la sua livrea di infinite sfumature di verde di quell’ora vespertina.
Calmo, sembrava respirare appena, addormentato.
Poi, mano a mano che la Green Queen aveva preso ad allontanarsi con un’ampia curva, in direzione sudest, era stata la foresta.
La pianura verde brillante s’espandeva in ogni direzione, oltre la curva dell’orizzonte, senza un accenno di montagne o almeno di colline e, nonostante l’aviomobile avesse proceduto veloce a qualche decina di metri dal suolo, bel oltre le fronde più alte, quando la notte era calata, nessuna speranza di mutamento si era mostrata all’orizzonte.
- Ci fermeremo a dormire alla fattoria Sullivan – disse Ingrid – Dovremmo esserci tra una decina di minuti.
- Non potremmo continuare ancora un po’ ed accamparci da qualche parte? – chiese Arthur, che avrebbe preferito evitare gli insediamenti della Mines & Stars e le maglie della rete, che il capitano Gile poteva aver lanciato.
- Nel Pool non ci sono spiazzi dove possa far atterrare la Green Queen. E poi, è meglio evitare di passarci la notte, se possibile.
Arthur non aveva replicato, né aveva chiesto spiegazioni.
Per il momento non voleva che Ingrid sapesse che aveva problemi con la sicurezza della compagnia.
Dopo qualche minuto, effettivamente, all’orizzonte, poco spostato più a sinistra della loro direzione, apparve nella nebbia, che in quel punto s’era di molto diradata, il riverbero di una luce ed Ingrid corresse la traiettoria dell’aeronave.
Mano a mano che si avvicinavano velocemente comparvero le strutture dell’insediamento.
Aveva poco della sua idea di fattoria, pensò Arthur.
Era grande, molto grande.
Totalmente circondata da una recinzione costituita da un muretto in calcestruzzo, sormontato da paline, che emettevano la luminescenza, che Arthur aveva già conosciuto, ma più intensa.
All’esterno e all’interno della recinzione si estendeva una fascia di terreno totalmente brullo, secco e polveroso che, mentre all’esterno s’interrompeva bruscamente, con la lussureggiante vegetazione del Pool, all’interno confinava con le traslucide pareti delle serre, organizzate in file ordinate.
Su un lato dell’insediamento, in una protuberanza dello stesso, quasi ne fosse un’escrescenza, c’era una piattaforma per aeromobili, su cui sostavano un paio di grandi carghi suborbitali per il trasporto delle derrate.
Nelle vicinanze c’erano alcuni capannoni industriali, mentre al centro dell’insediamento spiccavano quattro edifici residenziali, identici a quelli che Arthur aveva conosciuto ad Emerald City, ma molto più grandi.
Ingrid aveva attivato la radio e recitò quella che ad Arthur suonò come una formula.
- La Green Queen, nave indipendente 2742, chiede il permesso di atterrare e reclama il diritto d’asilo.
- Green Queen, permesso accordato e diritto riconosciuto. – rispose una voce maschile – Atterrate nella piazzola C45. Ripeto, C45 – e poi aggiunse – Ciao Ingrid, felice di sentirti.
- Ciao Sam – rispose Ingrid – mi offri una bevuta?
- Ti vengo a prendere.
L’aeronave si posò sul piazzale illuminato dalla immancabile luce fredda, sulla sezione esterna in cui spiccava a grandi lettere scure la sigla C45.
- Vieni - disse Ingrid ad Arthur, mentre disattivato il quadro dei comandi, stava aprendo il portello – Sam è un miner, ma è un amico.
A terra li attendeva un giovane dinoccolato in tuta verde scura.
Ingrid presentò Arthur come un rainbowed, che aveva affittato la Green Queen per un giro sul pianeta.
E Sam lo gratificò di una bonaria occhiata che – Arthur ne ebbe chiara l’impressione – lo classificava come “ricco scemo”.
Non se ne preoccupò, né se la prese: era una buona copertura.
Sam era venuto a prenderli con una piattaforma a cuscino d’aria.
Salirono e il giovane prese la barra di comando e partì veloce.
Arthur, che non se l’aspettava, rischiò di perdere l’equilibrio e di cadere e Ingrid fu lesta a sostenerlo, afferrandolo per un braccio.
- Calma Sam! – gridò ironica – Vuoi farmi perdere il cliente prima che mi abbia pagato?
- Scusi – disse Sam, ma la sua espressione era divertita.
- Devo parlare con il Direttore – lo minacciò Ingrid - Credi che un paio di turni di disboscamento siano sufficienti, per insegnarti le buone maniere?
- Mmmm – biascicò Sam – No. Irrecuperabile.
- … Sam, quanto ti manca?
- Un anno e due mesi.
- E come sei messo a crediti?
- Non molto bene.
- Un’altra cinquina?
- Non ti serve un socio?
- Non ti allargare miner.
- Un tuttofare?
- Tutto?
- Si, padrona.
- E come la mettiamo con i vizi?
- Vizi?
- Perché, non mangi?
- Poco, padrona. Mi bastano le briciole che cadono dalla tua tavola.
- Va bene, vedremo.
Con questo scambio di battute la piattaforma, superati gli edifici industriali ed alcune serre, era arrivata nell’area residenziale e Sam andò a frenare dinanzi ad un edificio, quasi bruscamente come era partito.
Entrarono. Era la mensa-spaccio della fattoria.
Il locale era affollato.
Data l’ora, erano pochi a mangiare.
La maggior parte dei miners – tutti erano con l’immancabile tuta verde scura – se ne stava ai tavoli, sorseggiando bevande e chiacchierando.
Ingrid avvertì Sam che loro dovevano mangiare e andarono al distributore automatico, dove non dovettero fare fila.
Sam prese una bibita effervescente per fare loro compagnia.
Si sedettero ad un tavolo laterale, sopportando gli sguardi e la curiosità generale, che la presenza dei due estranei provocavano.
Mangiarono con calma il pasto sintetico aromatizzato che avevano scelto.
Arthur stava cominciando a farci l’abitudine.
L’ultimo pasto decente era stato quello al “ristorante” e chissà per quanto tempo lo sarebbe rimasto.
Ingrid e Sam continuarono per tutto il pasto a giocare, punzecchiandosi.
Arthur era contento di starli ad ascoltare, rilassandosi, cercando di non pensare a niente.
Avevano finito di mangiare e sorseggiavano una bevanda calda, quando al loro tavolo si avvicinò un uomo, i folti capelli brizzolati ai lati della testa, giacca e pantaloni verde scuro.
Era un quadro.

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