domenica 2 dicembre 2007

Emerald - Capitolo 23

Raggiunsero la riva del Walker, là dove la sabbia lasciava spazio a scure lastre di basalto.
Ingrid fece atterrare la Green Queen.
La temperatura era molto alta e l’aria era secca.
Ma il vento teneva pulita quella riva, spingendo la sabbia in direzione opposta.
- Devo controllare che non ci siano danni seri allo scafo – spiegò Ingrid – Altrimenti non potremmo affrontare la Cruna.
Arthur non commentò e restò a bordo, chiedendosi cosa fosse, adesso, la Cruna.
Ingrid rientrò dopo qualche minuto soddisfatta.
- Solo qualche ammaccatura. La fiamma non è riuscita a fare danni – e si andò a sdraiare sulla cuccetta.
Arthur la guardò, interdetto.
- Che fai? – chiese.
La donna alzò il capo e lo guardò truce.
- Dormo!
Poi, si lasciò ricadere e, dopo una pausa, aggiunse:
- Ho le braccia e la schiena distrutte. Non mi sono riposata, sai? nelle ultime dodici ore.
- Scusa.
- Ed è un po’ dura, mandare giù che qualcuno abbia appena tentato di ammazzarti.
Arthur non sapeva cosa dire e rimase in silenzio.
- Sai? – disse ancora Ingrid – Mi ci sono sbronzata, e più volte, con quel grosso figlio di puttana … E ora ha cercato di ammazzarmi.
- E’ finita. Ora è finita, Ingrid.
- Prima Ted, ora Julian … e poi? Chissà quanti altri, pronti a tutto, per quel maledetto biglietto per le stelle. Ma chi … Ma che merda siamo?
Il respiro s’era fatto breve e il petto sussultava.
Arthur le posò una mano sulla spalla.
Ingrid sollevò il volto rigato dalle lacrime e lui l’abbracciò.
Lentamente si calmò e s’addormentarono così.
Passo un’altra notte.
Al primo mattino fecero colazione in silenzio con il caffé e si rimisero in viaggio il più in fretta possibile.
Le scure lastre di basalto si innalzavano lentamente verso le prime catene montuose, che si cominciavano a vedere all’orizzonte.
Il deserto cedette impercettibilmente il passo ad una sorta di savana, prima fatta di rade piante basse e cespugliose e, poi, di steli di un verde chiarissimo, che si piegavano con orgogliosa resistenza al soffio del vento.
Sempre molto lentamente, la savana cedeva il passo ad una prateria verde acceso, che s’ondulava su un terreno collinoso.
Poi, mano a mano, si arricchiva di boschetti, corsi d’acqua e laghetti sempre più grandi.
Una scena di serena normalità, che Arthur collegava ai suoi ricordi e ai suoi mondi lontani.
Fu nelle primissime ore del pomeriggio che notarono qualcosa d’insolito.
Poco distante da un boschetto, che s’allargava intorno ad un piccolo lago, formato dall’acqua di un ruscello, videro il corpo di un uomo, a terra, in una posizione scomposta.
Decisero di verificare cosa fosse successo ed Ingrid fece atterrare la Green Queen tra il corpo dell’uomo ed il boschetto.
Tutto intorno a loro era silenzio e calma.
Si avvicinarono all’uomo..
Era un greenfree.
Lo si riconosceva dai suoi vestiti di fibra vegetale intessuta e dai capelli lunghi.
Era riverso, il volto sul terreno.
Con delicatezza Arthur lo girò.
Il volto dell’uomo era una maschera orrenda.
Gli occhi spalancati, con le orbite vuote. Le labbra, contratte, mettevano a nudo i denti serrati.
L’impressione era di tremendo dolore.
Arthur lasciò ricadere il corpo dell’uomo, arretrando, in un singulto d’orrore.
- Paralizzatore – disse Ingrid – Alla massima potenza. Gli hanno bruciato ogni neurone.
- Qualche altro indipendente? – ipotizzò Arthur.
- Non credo – rispose Ingrid – Guarda l’erba intorno al corpo.
Arthur fece come gli diceva Ingrid e notò che si presentava sfiorita, quasi secca, rispetto a quella circostante.
- Che significa?
- Che lo hanno colpito dall’alto. E le carrette degli indipendenti non sono armate.
- La Compagnia?
- Già. Credo che dovremo cominciare a preoccuparcene.
- Ma perché uccidere quest’uomo?
Ingrid alzò le spalle. Poi, però, sembrò notare qualcosa.
- Guarda. Sembra stesse correndo verso il lago.
Arthur osservò il cadavere, la sua posizione e ne convenne. Si avviarono, allora, in quella direzione.
Fu sulla riva del lago che fecero la scoperta.
Il corpo di una donna e quello di una bambina, non più grande di dieci anni, erano riversi scompostamente al suolo.
Poco distante, trovarono le sacche da viaggio, disposte accanto a tre coperte ordinatamente ripiegate.
L’uomo era stato ucciso mentre correva in difesa della sua famiglia, sorpresa in riva al lago.
- Perché? – chiese ancora Arthur.
L’assassino non si era neanche degnato di scendere dalla sua aeronave.
- Dobbiamo seppellirli.
Ingrid lo guardò, perplessa, ma non fece commenti.
Arthur si fece aiutare a trasportare il corpo dell’uomo accanto agli altri due.
Ingrid prese dalla Green Queen gli attrezzi per le rilevazioni minerarie e scavarono tre fosse, tra il boschetto e il lago.
Ebbero cura di distanziarle in modo da formare un triangolo.
Vi adagiarono i tre corpi, i volti verso l’alto, le teste convergenti e distanziate, come apparivano distanziati tra loro gli alberi del boschetto. Ricoprirono di terra le buche ed Arthur pose, al centro del triangolo, una pietra più grande, scelta sul greto del torrente.
Si fermarono, incerti.
- Bisognerebbe dire qualcosa – sussurrò Arthur.
Ingrid annuì.
- Ora siete uniti coi fratelli nella pace – improvvisò Arthur – Liberati dal dolore dei corpi. Da essi è uscita ogni stilla di vita e si è trasferita altrove. Perché la vita genera vita. E non muore mai.
Ingrid lo guardava perplessa.
- Mi sono ricordato del nostro amico. Se la sua è una specie di religione, di filosofia dei greenfree, mi sono sembrate le cose più giuste da dire,
- Andiamo – disse Ingrid – Abbiamo perso anche troppo tempo e questo posto non è sicuro.
Ripartirono con Arthur che osservava, pensieroso, quel piccolo cimitero greenfree.
- Sei un bugiardo – disse Ingrid – ma anche un brav’uomo, rainbowed.
Ingrid si teneva nella marcia molto bassa, a pochi metri dal suolo.
- Non voglio entrare nei rivelatori di qualcuno – chiarì.
Procedettero, così, dirigendosi verso est, con il terreno che andava facendosi progressivamente più mosso.
Al tramonto Ingrid posò la Green Queen in una piccola valle racchiusa tra colline un po’ più pretenziose, a ridosso di alti e fronzuti alberi. In questo modo contava di restringere di molto le possibilità che l’aeronave fosse avvistata dall’alto.
Gli alberi non erano da frutta e dovettero accontentarsi del pasto sintetico aromatizzato del loro distributore.
Decisero che fosse opportuno montare la guardia, per non essere sorpresi nel sonno, ed Arthur si offrì di restare sveglio per primo. Ingrid aveva pilotato tutto il giorno.
Scese a terra, con un boccale di caffé caldo in mano.
La notte era tiepida e nella valle non spirava un alito di vento.
Ancora una volta il silenzio era una presenza inumana ed incombente.
Il buio della notte senza lune di Emerald era una voragine nera, sotto un fantasmagorico tappeto di smeraldi luminosi e vibranti.
Il cielo era terso, come sempre, su Emerald – registrò, appena, Arthur – e costellazioni sconosciute tracciavano i segni di uno zodiaco altro.
Pensò ai calendari di pietra delle sue civiltà andine perdute, allo sgomento che solo l’intelligenza aveva potuto provare, con la propria pochezza, di fronte all’immenso.
Si chiese se gli uomini giunti su quel pianeta, miners, uomini neri, cercatori, greenfree, si fossero mai fermati, la notte, a guardare le stelle.
I greenfree, certo, si, si disse.
Ma gli altri?
Abbagliati dall’ossessiva luce fredda, che accompagnava le notti della Compagnia, gli uni … E gli altri, dal miraggio d’una porta per nuove prigioni, che chiamavano stelle.
Bevve un lungo sorso di caffé e si chiese se lui fosse migliore.
Ma non cercò di darsi una risposta.
La notte era calda ed accogliente.
Svegliò per il cambio Ingrid, che Uraneo già tingeva di verde il cielo, dietro le vette lontane nell’oriente e si addormentò nella cuccetta.
Si svegliò alcune ore dopo, con la Green Queen in volo radente sulle creste degli alberi, che riempivano, folti, un canalone montano.
- Bene alzato – lo salutò Ingrid – Abbiamo fatto un po’ strada, mentre dormivi.
Arthur si stropicciò gli occhi assonnati e, crollando sul sedile, guardò fuori.
Stavano attraversando un paesaggio montuoso, fatto di catene, ricoperte di alti alberi dalle foglie di un verde scuro, che si susseguivano incessanti.
- Sono i primo contrafforti della Grande Dorsale - spiegò Ingrid – Tra un po’ dovremmo poterla vedere.
La Green Queen seguiva un percorso tortuoso, cercando di restare il più possibile al riparo dagli sguardi di eventuali cacciatori.
Impiegarono del tempo per procedere, ma, ad un tratto, uscendo da un lungo vallone, che s’inoltrava profondamente, andando da ovest verso est, la Grande Dorsale apparve dinanzi a loro.
Si stagliava, come una regina tra il corteggio dei nani che la precedevano, nuda, ritta e prepotente, verso il cielo, dove affondava tra le nubi che ne nascondevano le vette.
- Ma quanto è alta?
- Qui le vette sono tra i dodicimila e i tredicimila metri.
- E dobbiamo passare lassù?
- Con la regina non ce la faremmo. Passeremo per la Cruna, sui novemila – rispose Ingrid.
- Cos’è la Cruna?
- Presto avrai modo di vederlo da solo. Perché spaventarsi prima?
Arthur guardò la ragazza.
Sorrideva.
Non è che la cosa si fosse, fino ad allora, dimostrata sempre un buon segno. Valutò Arthur deglutendo.
Si avvicinavano, veloci, alla Dorsale, quando sul monitor comparve, alla sinistra, un segno luminoso che, presto, si separò in tre parti.

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