domenica 2 dicembre 2007

Emerald - Capitolo 10

Arthur pensò a quelle donne e a quegli uomini caduti nella rete del capitano Gile. Lo avevano seguito, era colpa sua.
La ragazza, giovane, minuta, con due grandi occhi scuri e i capelli corvini tagliati a caschetto, parve avvertire la sua angoscia.
- Il rilevatore era nella penna – disse – Non potevi saperlo. Qualcuno ti ha teso una trappola profittando del fatto che sei un raimbowed e non avevi motivo di sospettare.
Arthur pensò al giovane impettito, alla reception dell’Emerald’s Door. A quella faccia da scrupoloso dipendente della Mines & Stars, smaniosa di far carriera, pronta a tutto, pur di conquistare un posto da quadro nei ranghi della compagnia.
Respirò forte per sfogare la rabbia che gli montava in corpo.
- Cosa faranno …
- Li interrogheranno per cavargli qualunque notizia. Poi li destineranno ai pozzi punitivi. Giù a quattromila metri di profondità, senza farli riuscire per uno, due mesi … forse un anno, chissà.
- Scopriranno ogni cosa.
- Nessuno di noi sa molto di più di quanto la Compagnia non sappia già – rispose la ragazza – E’ Jhob la chiave di tutto. Ma fortunatamente nessuno sa dove sia. Piuttosto, adesso scopriranno che siamo in grado di spegnere i rilevatori e, prima o poi, troveranno la maniera per risolvere il problema.
Arthur respirò ancora profondamente, l’adrenalina cominciava a dissolversi e lui si scoprì a pensare al povero signor Ciang, così gentile e così servizievole.
La possibilità che finisse per scontare le cortesie che gli aveva profuso era decisamente reale.
Fin dall’arrivo su Emerald gli aveva fornito un’assistenza continua.
Lui, ispettore della Compagnia, aveva assistito un agente di questo misterioso complotto … orfico.
L’assurdità di quell’improbabile intrigo lo stordì.
- Dobbiamo muoverci – disse la ragazza
- Come?
- Non abbiamo molto tempo. Quando scopriranno il rilevatore nel condotto e capiranno che siamo fuggiti - e se non lo hanno già fatto, non ci mancherà molto – setacceranno palmo a palmo tutta la zona industriale. Non possiamo rimanere qui.
- Dove possiamo andare?
- Nei pozzi – rispose la ragazza – Dobbiamo scendere in un pozzo e nasconderci aspettando. Domani, quando smonterà il primo turno, anzi, meglio il secondo, potremo tentare di uscire confondendoci con i miners che smontano.
Ad Arthur il piano sembrò sensato e si disse pronto.
Il primo pozzo distava un duecento metri da dove si erano fermati e quei duecento metri erano totalmente scoperti ed illuminati dalla luce fredda di Emerald City.
Si avviarono di corsa, in linea retta.
Raggiunsero ansimanti la protezione di un traliccio di una gigantesca gru e si voltarono. In lontananza, i mezzi della sorveglianza volavano in ampi circoli. La caccia s’era aperta, ma era ancora lontana.
La ragazza lo guidò, aggirando le strutture del pozzo.
Giunta dall’altra parte si fermò
- Dobbiamo cercare di arrivare a quell’altro pozzo – e indicò, con un cenno del capo, una struttura più interna – questo è troppo ovvio e finiranno per esplorarlo.
Arthur si volse, il capitano Gile procedeva con metodo, ma lentamente. Annuì.
Ripeterono l’operazione un’altra volta, fino a raggiungere un pozzo molto interno nella zona.
La ragazza annuì soddisfatta.
- Qui dovremmo essere tranquilli – disse, e si avviò verso il ciglio del pozzo.
Aveva un diametro di una cinquantina di metri, ed era servito da quattro ascensori e due gru.
Sull’altro lato della circonferenza, una scala metallica a pioli, con una gabbia metallica di protezione, era la via di accesso pedonale al pozzo.
Raggiunsero la scala ed iniziarono a scendere, la ragazza davanti ed Arthur, dietro, che la seguiva.
La scala scendeva per una decina di metri, per interrompersi in una piccola piattaforma metallica, protetta da un parapetto, e poi riprendere, leggermente sfalsata, a discendere per un’altra decina di metri, in una serie che sembrava non dovesse finire, se non sul fondo del pozzo, a quattromila metri di profondità.
Il rumore che producevano muovendosi su quella struttura metallica, ad Arthur sembrava un frastuono in grado di attirare su di loro l’attenzione di ogni uomo della sicurezza presente ad Emerald City.
Ma non vedeva alternative.
La luce si era andata affievolendo mano a mano che scendevano lungo le pareti del pozzo e quasi non si accorse quando raggiunsero un piano di roccia.
Sollevò il capo, il cielo era una moneta lucente sulle loro teste.
Erano discesi almeno duecento metri lungo le pareti del pozzo.
La ragazza stava tastando la parete in cerca di qualcosa.
Finalmente sembrò trovarla e una sezione rettangolare della parete ruotò rivelando, illuminato da una fosforescenza, l’interno di una cabina che avrebbe potuto contenere una decina di persone.
- E’ il sistema pneumatico di emergenza. Nel caso ci siano problemi all’alimentazione degli ascensori – spiegò – Tieniti forte.
Arthur ebbe appena il tempo di aggrapparsi ad un grande maniglione, che il pavimento sembrò svanirgli da sotto i piedi.
Precipitarono per lunghi secondi, forse minuti.
Poi, solo un po’ più dolcemente, la cabina rallentò fino a fermarsi.
Uscirono.
Il pozzo aveva una lieve luminescenza. Il cielo, in alto, era scomparso.
- Siamo a millecinquecento metri di profondità – l’informò la ragazza, mentre Arthur tentava di compensare il cambio di pressione nelle orecchie – Dobbiamo continuare – ed aprì un’altra cabina.
Ripeterono la discesa due volte, aggiungendo altri duemila metri alla distanza tra loro e la superficie.
Quando uscirono dalla terza cabina, si trovarono alla sommità di una gigantesca caverna, il cui fondo distava ancora diverse centinaia di metri dalla loro posizione.
Una rampa artificiale, adeguatamente larga per consentire il passaggio di mezzi meccanici, scendeva verso il fondo seguendo, con un andamento a spirale, le pareti della caverna.
Al centro della caverna, su di una piattaforma quadrata, un vagonetto autopropulsivo, per il trasporto del materiale in superficie, aspettava.
Nastri trasportatori lo raggiungevano da ogni angolo della grotta.
Mentre in corrispondenza dei quattro lati della piattaforma, come colonne di un altare, si stagliavano verso l’alto i tubi traslucidi dei quattro ascensori, che risalivano sino alla superficie.
Scostandosi dal centro della caverna, la scena si frantumava sempre più in una congerie di strutture e macchine, utilizzate nelle operazioni di scavo.
Il tutto era illuminato dal lucore soffuso di lampade notturne.
- Dobbiamo scendere – disse la ragazza – Ci sono locali per le pause. Potremo riposare lì sino a che non inizia il turno di lavoro, domani mattina, e poi aspettare.
Si avviarono lungo la rampa.
Impiegarono quasi un’ora per raggiungere la base della caverna e per trovare una struttura di riposo.
Era in materiale sintetico, dotata di servizi e di distributori alimentari.
Si lavarono, mangiarono una razione alimentare e si sedettero, con un bicchiere di caffé sintetico confortevolmente bollente.
Per il momento erano al sicuro.
Parlarono a lungo scaricando la tensione.
Marta, questo era il nome della ragazza, aveva diciannove anni ed era nata su Emerald, da due coloni della prima ora.
Il padre era morto quasi dieci anni prima in un incidente in un pozzo.
Aveva lasciato la madre, una donna ormai abbrutita da quella vita, un anno prima, quando, maggiorenne, aveva iniziato a lavorare in un impianto di raffinazione, per pagare il debito verso la Mines & Stars, che i suoi genitori avevano contratto per suo conto, mettendola al mondo.
Era stata avvicinata, dopo qualche mese sul lavoro, da una donna più anziana che, dopo averla sondata, aveva iniziato a parlarle della rivelazione.
Neanche un paio di settimane dopo Marta s’era fatta estrarre il rilevatore, entrando in clandestinità e aveva partecipato alla sua prima riunione della Società, dove aveva conosciuto Jhob.
Arthur le chiese di parlargli della rivelazione.
- Nella storia di Emerald – iniziò la ragazza – ci sono state due spedizioni esplorative. La prima, quella del 2267, è quella ufficiale, conosciuta da tutti. Quella spedizione in realtà si limitò a fare tutti i rilievi necessari a calcolare il Fattore Holtzen del pianeta e a stabilirne l’abitabilità. La Vega 2, questo era il nome, era una nave della Marina della Confederazione in missione esplorativa. Terminati i rilievi, ripartì per una nuova destinazione. Martin Rodriguez, il capitano della nave, era un uomo fantasioso e fu lui a dare il nome, Emerald, al pianeta. Ma, per esempio, non pensò affatto a cambiare il nome della stella, che restava un’anonima sigla, la HR 732. Quella che molti non conoscono è la storia della seconda spedizione, quella della Sirio. Anzi, della doppia spedizione. Quella nave fece infatti due viaggi, nel 2347 e nel 2351, fermandosi sul pianeta entrambe le volte per diversi mesi. La nave era comandata da una donna, Wilma Shepard, ed era una nave modulare. A parte il centro di comando, era articolata in tre moduli indipendenti, che potevano atterrare e costituire vere basi operative indipendenti sulla superficie del pianeta. I tre moduli erano specializzati diversamente. Mentre due di essi erano attrezzati per sondaggi e ricerche minerarie, il terzo era attrezzato per ricerche biologiche e genetiche. Quello era il risultato di un compromesso raggiunto tra la Confederazione e la Mines & Stars, che finanziava quasi totalmente la spedizione. Nel rapporto della Vega 2 emergeva, infatti, la peculiarità tutta speciale dello sviluppo della vita su Emerald, e cioè la totale assenza di qualunque forma di vita animale, anche microscopica. Il dipartimento di scienze naturali era riuscito ad imporre uno studio approfondito, prima che fosse deliberata la concessione per la colonizzazione e lo sfruttamento di Emerald. La prima spedizione si rivelò estremamente interessante per entrambi le parti, tanto che fu decisa a breve la sua prosecuzione. I responsabili del modulo naturalista non vollero pubblicare i risultati del loro lavoro e dichiararono di voler attendere i risultati della seconda serie di rilievi e di esperimenti. Ma furono loro a proporre i nomi della stella Uraneo e del continente emerso, Pangea. Come furono loro a battezzare Aither la regione dove avevano deciso di far atterrare il loro modulo, che avevano chiamato Chronos. Tutto questo risulta dal diario del capitano Shepard e dalla sua testimonianza all’inchiesta.
- Inchiesta? – Chiese Arthur
- Si. In fase di atterraggio il Chronos precipitò e si schiantò al suolo. Non ci furono superstiti. La Shepard racconta che inviò tutte le navette sub orbitali della Sirio in soccorso. Ma le difficoltà di comunicazione nell’atmosfera di Emerald e le condizioni climatiche dell’Aither resero molto difficile la stessa individuazione del relitto e, comunque, non fu possibile fare nulla. La Sirio rientrò con i soli due moduli minerari e la Mines & Stars pretese che le fosse assegnata la concessione senza ulteriori ritardi. L’inchiesta si concluse senza responsabilità. Il Chronos era caduto per un malaugurato incidente. Ma chi ne aveva tratto i maggiori benefici era la Mines & Stars. E la Mines & Stars non è cosa che si fermi dinanzi a niente. Questa storia è poco conosciuta tra i miners. Ma il fatto che la concessione della Mines & Stars possa essere in violazione delle leggi sulla colonizzazione della Confederazione, che addirittura possa nascondere all’origine un crimine e una strage, ha aperto alla speranza che i contratti di lavoro possano essere dichiarati nulli. Il problema è trovare le prove e, un volta trovate, produrle in un tribunale della Confederazione. E’ su questo che è nata, ormai da anni, la Società dei Naufraghi del Chonos. Poi è arrivato Jhob.
- Già, cosa c’entra Jhob in tutto questo?
- Il capo del modulo naturalista era la professoressa Maria Allison. Con lei c’era il marito, il professor Tom Crhistiansen.
- … Erano i genitori di Jhob.
- Si
Arthur rimase in silenzio, assimilando quella notizia.
Marta proseguì nel suo racconto.
- Jhob ha ritrovato, tra le carte dei genitori, un blocco di appunti che il padre aveva preso durante il primo viaggio della Sirio e il primo periodo di lavoro su Emerald.
Arthur, pensò ai lunghi anni di amicizia con Jhob, che sapeva essere cresciuto con la nonna materna.
A quel velo di tristezza che scendeva sul quel volto perennemente allegro, quando le chiacchiere scivolavano su determinati discorsi.
Ora avrebbe voluto essere meno superficiale… allora.
- E’ venuto su Emerald ed è riuscito a prendere contatto con la Società. Ci ha dato speranza, quasi la certezza. Ci ha detto che la verità andava ben oltre ogni nostra immaginazione. Che la colpa della Mines & Stars coinvolgeva l’umanità intera e neanche noi non ne eravamo esenti. Ci ha detto di sperare e ci ha parlato di purificazione. Ci ha fatto adottare il rituale a cui hai partecipato …
- Ha costruito una chiesa – commentò a bassa voce Arthur.
- Poi è partito. Per la rivelazione finale, ha detto.
- Ma Jhob è un archeologo, non un biologo.
- Anche Tom Christiansen lo era. Si era preso un periodo sabbatico all’università, per accompagnare la moglie in questa spedizione.
- E scommetto che è stato lui a suggerire quei nomi – aggiunse Arthur.
Erano stanchi.
Trovarono dei cuscini ad aria su cui stendersi e cercarono di riposare.
Arthur era perplesso.
Ora ne sapeva molto di più.
La spiegazione razionale di quell’intrico in cui era rimasto impigliato gli appariva chiara e semplice.
Ma a questo punto era il comportamento di Jhob incomprensibile.
La via maestra era dimostrare che la Mines & Stars violava le leggi sulla colonizzazione.
Magari che si fosse macchiata del delitto di strage.
Allora, cosa significavano tutti quei riferimenti misterici e quel misticismo anacronistico?
Forse l’amico era rimasto sconvolto dalla scoperta di quegli appunti e dal sospetto, più che fondato, che i suoi genitori erano rimasti vittime di una strage premeditata.

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