domenica 2 dicembre 2007

Emerald - Capitolo 17

Emerald era quasi allo zenit.
Avevano viaggiato l’intera mattina volando verso sud, parlando poco.
Ingrid aveva voluto sapere della terra e di New Yale e degli altri pianeti che Arthur aveva conosciuto. Se ne aveva conosciuti.
Arthur era stato abbastanza laconico.
La terra della sua infanzia e delle sue spedizioni archeologiche sulla cordigliera sudamericana, così come la tranquilla routine al campus – che così bene calzava il suo animo, tanto acceso da passioni culturali e civili, quanto restio alle novità, che mettessero in discussione le sue accidiose abitudini – gli sembravano ora lontane e irreali.
Ora, qui, gli appariva più viva, più vera, la prepotente e gioiosa vitalità di Jhob.
Quel suo prendere di petto, irridente, la vita.
Quella sua dissacrante ironia che ti costringeva, ogni volta, a rimettere in discussione quello che avevi dato per scontato.
Jhob era l’eroe. Non lui.
Lui era quello che raccontava la storia degli eroi, paziente, coccio dopo coccio. Alla ricerca delle tracce.
La sua più grande ambizione di giovane professore era quella di divenire … un vecchio professore.
Amato per le proprie intemperanze verbali e, rispettato, per la propria matura saggezza.
L’unica gloria a cui, in fondo, realmente aspirava, era quella dell’aneddotica studentesca.
Sant’iddio, che ci faceva lui lì?!
Non era quello il suo posto.
Sospeso in una bolla trasparente, su una foresta infinita. Inseguito dai padroni di un pianeta che – forse – tenevano nascoste le prove di un orrendo crimine. Alla ricerca di un amico che, a caccia degli assassini dei propri genitori, s’era fatto sacerdote di una rediviva religione dei misteri.
Era una pazzia. Tutto era solo follia.
- Abbiamo qualcuno in coda – Ingrid lo sorprese.
Arthur si voltò, cercando di vedere oltre il corpo della Green Queen.
- Non lo si vede ad occhio nudo – lo avvertì Ingrid – Ce l’ho sul quadro da almeno mezz’ora. E’ ad un paio di centinaia di chilometri, e segue la nostra rotta.
- Ma non avevi detto che non potevano inseguirci?
- Non credo che siano della fattoria.
- E allora, chi è?
- Non lo so – Si morse le labbra.
- Cosa pensi di fare?
- Per il momento andiamo avanti come se niente fosse. Può benissimo essere che se ne vada per i fatti suoi. Altrimenti aspettiamo di poterlo identificare. Probabilmente è un altro indipendente.
- E se fosse della Sicurezza?
- Se fosse della Sicurezza, inserisco i propulsori Hidening e lo salutiamo.
Passò un’ora, ma l’altra aeronave sembrava viaggiare di conserva. Rimase alla stessa distanza, mantenendo la rotta.
Con un cenno del capo Ingrid lo invitò a guardare in avanti.
L’orizzonte mostrava un verde più chiaro, a tratti luminoso.
- Il Big Bert, il grande fiume.
Quel verde più chiaro si rivelò acqua che scorreva pigramente verso destra, ad ovest, in direzione dell’oceano.
Erano quasi alla sponda destra, dove il Pool si interrompeva bruscamente sull’acqua, ma Arthur non riusciva a scorgere l’altra sponda, se non come una vaga ombra lontana.
- Ma quanto è largo?
- In questo punto una decina di chilometri. Ma all’oceano, tra tremila chilometri, supera i quindici.
- Tremila? Qual è la sua lunghezza complessiva?
- Oltre settemila chilometri. Nasce direttamente dalla Grande Dorsale.
- Vuoi dire che siamo ancora a quattromila chilometri dalla Dorsale?
Ingrid rise.
- Secondo te, il Big Bert può essere un canale che scende giù in linea retta? Fa tante giravolte da farle sembrare le spire di un serpente. In questo punto la Grande Dorsale dista dall’oceano intorno ai tremila chilometri, e noi siamo un po’ oltre metà strada.
L’immensa massa d’acqua procedeva maestosa, lambendo nel suo cammino piccoli isolotti e scogli affioranti.
Mentre Arthur l’osservava, notò sulla superficie un qualcosa che, ben presto, riconobbe per una rudimentale imbarcazione a vela, che risaliva la corrente.
- Ma quella cos’è?
- Greenfree – rispose, laconica Ingrid, che rallentò l’andatura dell’aeronave, facendo, a suo beneficio, una breve virata.
Arthur osservò la barca, alla cui poppa spiccava la figura di un uomo, dai lunghi capelli sollevati dal vento, che non mostrava alcun segno di essersi avveduto della loro presenza sopra la sua testa.
- Ma dove sta andando?
- E chi lo sa? Probabilmente cerca un attracco per il Lao Tze. Ci sono alberi da frutta, da quelle parti.
La linea più scura all’orizzonte si era rivelata ben presto per una scogliera, alta fino a duecento metri.
Ingrid risalì il fiume alla ricerca di un punto di accesso più abbordabile.
Non voleva sprecare le riserve, spiegò ad Arthur.
Fecero alcuni chilometri a velocità ridotta, seguendo quella granita parete, che avrebbe fatto la gioia di molti rocciatori. Con le sue continue alternative, dagli stretti e ripidi camini, alle vertiginose terrazze.
Finalmente trovarono un punto in cui la scogliera pareva fosse stata colpita dal pugno di un gigante, frantumandosi i massi, poi franati verso il fiume.
Dallo squarcio le rocce risalivano, progressivamente, arretrando verso sud.
- Ecco la nostra porta – disse Ingrid e fece compiere alla Green Queen una lenta virata, che portò l’aeronave a infilarsi nello squarcio e a risalire la pendenza sino alla sommità della scogliera.
- Il Lao Tze – l’informò, laconicamente, Ingrid.
Agli occhi di Arthur era apparso un paesaggio misterioso e affascinante, fatto di roccia.
Questa era la sensazione prevalente.
La pietra, i graniti, le dolomiti, disegnavano un labirinto di canyon e pinnacoli, di ripidi massicci, scolpiti dal vento e di improvvisi e vertiginosi crepacci.
Tutto si estendeva verso un orizzonte frastagliato da quell’orografia.
Ma non c’era solo la pietra.
Ovunque si apriva una radura al riparo dall’incessante vento del nord est, spuntavano boschetti di piccoli alberi, spesso nei pressi di piccoli laghetti di acqua limpida.
- Sembra un buon posto – mormorò Arthur, ricredendosi della prima impressione.
Lo è – confermò Ingrid – Il migliore che conosca in tutta Emerald. Quegli alberelli che vedi sono da frutta.
- Pericoli?
- Quelli che vedi. E’ un po’ complicato muoversi a piedi. Ma lo fanno solo i greenfree. Purtroppo non c’è molto, per pensare di farci fortuna.
- Ci fermiamo?
- Un momento. Sto guardando il nostro amico che si è avvicinato.
Si riferiva alla aeronave che li seguiva.
- Riconosco il segnale – disse tranquilla Ingrid – E’ il Little Tzar di Ted. Un indipendente.
- Che si fa?
- Direi di aspettarlo – rispose Ingrid – Potrebbe avere notizie interessanti su cosa è successo dopo la nostra partenza.
- Che tipo è?
- Uno che tenta di afferrare la fortuna al laccio. Come tutti noi - rispose Ingrid scrollando le spalle.
Accese la radio.
- Vento in poppa Ted. Cosa fai da queste parti?
- Salve Ingrid. Mi pareva che fossi tu, a corrermi davanti al naso. Ma non stavi portando a spasso un rainbowed?
- Esatto Ted. Che dici di farci una bevuta?
- Con piacere. Fammi strada, che ti seguo.
Ingrid chiuse la radio e si concentrò alla ricerca di un buon punto dove far scendere la Green Queen.
Trovò una radura alla base di un pinnacolo che spiccava, svettando più in alto delle rocce circostanti, per la strana forma a calice, quasi regolare, della propria sommità.
La radura, dalla forma simile ad una goccia, era ben riparata, con un boschetto che ne occupava l’estremità più stretta, ed un laghetto centrale, che lasciava la pancia, di quella sorta di goccia, libera e sufficientemente ampia, per consentire il contemporaneo atterraggio delle due aeronavi.
Ingrid discese con la sua consueta perizia, lasciando che la Green Queen si posasse al suolo con la leggerezza di una piuma.
Aprirono il portello e l’aria tiepida di quel pomeriggio li investì piacevolmente.
- Non so te – disse Ingrid – Ma intanto io mi faccio un bagno.
Non gli lasciò il tempo di dir nulla e rientrò nell’aeronave .
Uscì dopo qualche minuto in costume e corse a piedi nudi verso il laghetto.
Non si fermò, entrò in acqua e, con due passi, si tuffò.
Arthur restò a guardarla mentre guizzava nell’acqua, maledicendo la propria reticenza tutta accademica.
Uscì gocciolante dall’acqua e, senza degnare di uno sguardo l’espressione divertita di lui, se ne tornò alla Green Queen, chiudendosi il portello alle spalle.
Riuscì cinque minuti dopo, asciugata e rivestita, proprio quando, dietro al pinnacolo, comparve la Little Tzar che, dopo un attimo di sospensione, scese in verticale, per arrestarsi, il muso contro il muso della Green Queen.

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