domenica 2 dicembre 2007

Emerald - Capitolo 5

Il signor Ciang si era procurato un piccolo mezzo a cuscino d’aria, su cui spiccava, in fiammanti lettere verde-oro, il monogramma della Mines & Stars Co. Così come sulla tuta ad un pezzo dell’autista.
- Lei, signor Ciang – disse Arthur – è un uomo pieno di risorse.
- Nei limiti del possibile – si schernì l’altro.
- Ho l’impressione che, su Emerald, un mezzo come questo sia riservato ai grossi papaveri.
- Ai quadri della Compagnia – lo corresse il signor Ciang – Un piccolo vantaggio per chi viene dalla sede centrale e alla sede centrale tornerà, con un resoconto da riferire – precisò esibendo il suo sorriso.
Ciang diede la destinazione all’autista e il mezzo si mosse con una dolce accelerazione.
Arthur si rilassò sul suo sedile, gettando uno sguardo alle strade che attraversavano risalendo la città.
Usciti dalla zona degli uffici, il mezzo prese un largo viale che svoltava a sinistra, per poi progressivamente piegare costantemente verso destra.
Ricordando la visione della città avuta dalla navetta, Arthur intuì che il viale seguiva l’andamento della parte residenziale della città, tenendosi ai suoi margini, in quella che si sarebbe detta la sua fascia periferica.
Gli edifici non erano dissimili da quelli che aveva già visto, solo un po’ più piccoli, ma sempre di quel triste grigio-verde.
Poche le persone in strada, quasi inesistenti i veicoli.
Tutto era illuminato da una luce fredda.
- E’ tutto così allegro, a Emerald City? - chiese
- Deve capire che qui, venticinque anni fa, non c’era nulla – ripose il signor Ciang – Non c’era neanche nessun colono. E’ stato costruito tutto dal nulla e la maggior parte delle cose sono state trasportate dallo spazio, dai pianeti interni. E’ chiaro che si è pensato per prima cosa all’indispensabile.
- Ma la cultura, la bellezza – chiese quasi a se stesso Arthur – sono superflue?
- Emerald City ha un’ottima biblioteca e un buon canale olografico con ottimi programmi, anche culturali, signor Temple. I programmi di istruzione per i ragazzi sono forzatamente di carattere prevalentemente tecnico. Hanno la necessità di cominciare ad autoprodurre i quadri intermedi. Ma l’istruzione è sostanzialmente completa.
- Beh, immagino – fece Arthur, con una venatura caustica – che per un po’ di memorie, lo spazio, addirittura qualche decina di centimetri cubici, su quelle piccole astronavi mercantili, la Mines & Stars, sia riuscita a ricavarlo.
- Non sia ingiusto, signor Temple. In venticinque anni su Emerald sono arrivati quasi centocinquantamila coloni. E’ stata costruita questa piccola città, in cui abitano circa quarantamila persone. Sono stati realizzati venti impianti estrattivi con altrettanti insediamenti, più piccoli di Emeral City, ma sostanzialmente autosufficienti. E’ stato realizzato un sistema di trasporti sub orbitale tra gli insediamenti e l’astroporto e trentotto fattorie, in cui lavorano più di ventimila coloni, per provvedere alle necessità alimentari dell’intera popolazione di Emerald. Non crede che dovrebbe concedere alla Mines & Stars quantomeno il tempo di completare il suo lavoro, prima di emettere sentenze definitive?
- Mi arrendo, signor Ciang – esclamò Arthur, sollevando scherzosamente le braccia - Chiedo scusa alla Mines & Stars e al suo onorevole consiglio di amministrazione.
- Accetto la sua resa – rispose a tono l’altro – A patto che sia senza condizioni.
Sorrisero
- Siamo quasi arrivati – fece il signor Ciang, guardando fuori dal finestrino.
Il mezzo si fermò dinanzi al solito edificio anonimo, con il luminoso monogramma della Compagnia, fiammeggiante, sul vetro polarizzato dell’ingresso.
Come per l’Emerald’s Door, anche in questo locale, non vi era alcuna insegna che l’identificasse.
- Nessun insegna, nessun nome? – chiese, Arthur
- Come? – rispose perplesso l’altro.
- Come fa, qualcuno, a sapere che questo è un ristorante?
- Capisco. Lei deve tener ben presente che su Emerald non capitano molti … turisti. Mi scusi, mi veniva da dire, estranei. E tutti qui sanno che questo è il ristorante di Emerald City.
- Il…?
- Già, questo è l’unico ristorante di tutta Emerald City. Gli abitanti, anche i quadri, normalmente usufruiscono delle mense. Il cui menù sarà poco fantasioso, ma è comunque sostanzioso e, soprattutto, economico. Una cena alla carta al ristorante è una follia da fare nelle grandi occasioni.
- Mi sta preoccupando. Lo stipendio di un professore universitario non è certo da nababbi.
- Non si preoccupi di questo – si affrettò a rassicuralo il signor Ciang – Lei questa sera è mio ospite.
- Ma non posso permettere …
- Addebiterò i costi sulle spese di rappresentanza. Del resto, è ormai divenuto un punto d’onore, per me, farla ricredere sulle buone intenzioni del mio datore di lavoro – non potendo profondersi nel solito inchino, fece una breve flessione del capo - che si accollerà di buon grado la copertura della spesa.
- Se le cose stanno così – rispose Athur – sono ben felice di accettare.
- Non si faccia troppe illusioni – sussurrò in un sospiro il signor Ciang, varcando la soglia.
Il locale, confortevole, per gli standard che Arthur aveva ormai attribuito al pianeta, era quasi deserto.
Nella luce discreta e diffusa, solo un paio di tavoli erano occupati da coppie, che mangiavano chiacchierando sommessamente.
Si sistemarono in un tavolo, adeguatamente distante rispetto a quelli occupati, e persero qualche minuto per fare le ordinazioni sul menù elettronico.
Mentre attendevano che la cucina sfornasse i piatti, il signor Ciang avviò la conversazione.
- Lei è venuto su Emerald per il suo amico, ho sentito.
- Già – rispose Arthur – è proprio così.
- Anche il suo amico è professore universitario, un archeologo – aggiunge il signor Ciang, come a ricostruire i dati in suo possesso, per poi continuare – Scusi la mia curiosità, ma sono sinceramente perplesso. Non capisco come un archeologo possa avere interesse in un pianeta che non ha e non ha mai avuto una civiltà di un qualunque tipo, anzi, che non ha mai sviluppato alcuna forma di vita animale autoctona. Perché lo sa, non è vero signor Temple, che su Emerald, le uniche forme di vita che si sono sviluppate sono tutte vegetali?
- Si, l’ho letto – rispose Arthur.
- Non credo, come non lo crederà neanche lei, dopo queste poche ore ad Emerald City, che il suo amico possa aver deciso di prendersi un periodo di vacanza proprio qui. E allora, che ci faceva su Emerald
- Vorrei saperlo anch’io – rispose Arthur – Ma non ne ho la minima idea.
- Ma ha risposto ad un suo invito – protestò con tono lieve.
- Si, ma era una cosa alla Jhob … Diciamo che il mio amico è un eccentrico, che ama parlare per enigmi ed allusioni. Mi ha inviato citazioni del suo campo di ricerca … gliel’ho detto, la Grecia del primo millennio avanti Cristo, ma senza una riga di spiegazione.
- Però è stato sufficiente a farla partire. E a tentare di raggiungerlo in questo posto sperduto dell’universo.
- Jhob sarà un eccentrico, ma è anche una persona eccezionale. Se mi ha inviato quel messaggio, c’è sicuramente una ragione seria, anche se non sono in grado di dire quale sia.
- Pensa che quello che abbiamo trovato tra i suoi oggetti personali possa aiutarla?
- Al momento non vedo come, ma non mi sembra di avere altro.
- Le ripeto, se le posso essere utile, in qualunque modo, faccia pure affidamento su di me.
Mangiarono una cena … mangiabile continuando a parlare.
Il signor Ciang si mostrò particolarmente interessato al lavoro di Arthur.
E affascinato dagli elementi di archeologia che finivano in un discorso, punteggiato di domande, che Arthur trovava sorprendentemente pertinenti in quell’omino, cortese e cerimonioso, ma dagli interessi e dalla cultura apparentemente così distanti dalla sua.
Dopo un’ora, si avviarono all’uscita, in attesa del mezzo, che il signor Ciang aveva richiamato.
Sulla porta, l’attenzione di Arthur fu attratta da un uomo, che correva sull’altro lato della strada.
D’improvviso l’uomo, con una tuta verde scuro, scartò in mezzo alla strada, dirigendosi nella sua direzione.
Dall’angolo del palazzo, nella direzione da cui arrivava l’uomo, in quel momento, sbucarono in corsa tre uomini in nero.
Mentre dal fondo della strada planava veloce un mezzo, anch’esso nero.
Il signor Ciang si frappose tra Arthur e l’uomo, che lo caricò con una spalla, scaraventandolo violentemente al suolo.
Arthur, impietrito, fu afferrato per il braccio che aveva alzato ad estrema difesa, e due occhi allucinati, o disperati, gli ansimarono:
- Fuggi, rainbowed, è una trappola!
Gli uomini della sicurezza gli furono addosso e lo strapparono dal braccio di Arthur, costringendolo a sdraiarsi a terra ed a restare immobile.
Lo colpirono ripetutamente con calci e con gli storditori.
Altri uomini scesero dal mezzo e furono addosso all’uomo. Altri, ancora, si chinavano sul signor Ciang, che appariva stordito.
Tutto avveniva nel silenzio più completo e questo sconvolse Arthur più della violenza, che gli appariva assolutamente gratuita.
- Fuggi, rainbowed, è una trappola! – quell’avvertimento gli tornò in mente e una paura irrazionale lo invase e lo stravolse.
Si allontanò arretrando, senza che nessuno gli prestasse attenzione.
Poi, vinto da un istintivo terrore, si mise a correre fuggendo.
Si allontanò cambiando ripetutamente strada, col terrore di sentire passi che l’inseguissero, o che un veicolo gli planasse dall’alto, come un gigantesco rapace.
Quando fu senza fiato si fermò, ansimando, scrutando alle sue spalle.
Al di là del raspare del suo respiro, non si sentiva alcun rumore e nessuno si vedeva al suo inseguimento.
Con uno sforzo cercò di ragionare.
Ora non capiva cosa gli fosse successo. Perché fosse fuggito.
Certo, non era un uomo d’azione e quell’esplosione di violenza, peraltro gratuita, l’avevano certamente turbato.
Ma che cosa c’entrava lui, col vaniloquio - perché altro non poteva essere quell’avvertimento - di quel povero cristo?
Perché s’era fatto prendere dal panico?
E un senso di vergogna lo pervase, al pensiero del povero signor Ciang, che aveva tentato di difenderlo, e che lui aveva abbandonato, magari ferito.
Ora avrebbe voluto tornare sui propri passi.
Si guardò intorno, ma la teoria dei palazzi, sempre uguali a sé stessi, gli disse che si era perso.
Non aveva la benché minima idea di dove fosse il ristorante e, se era per quello, neanche l’albergo.
Si decise a cercare qualcuno per chiedere informazioni.
Si incamminò lungo la strada deserta e dopo qualche centinaio di metri, girò su una strada più stretta sulla destra.
La struttura sempre uguale e sempre anonima dei palazzi lo opprimeva, ma, all’ennesima svolta, qualcosa cominciò a cambiare impercettibilmente.
Le case erano più addossate.
I muri, pur se di quell’opprimente grigio-verde, erano segnati qua e là da qualche screpolatura, da qualche macchia lasciata dal tempo e dagli uomini.
Qua e la, sulla strada, qualche rifiuto, qualche segno, testimoniava della vita di qualcuno.
Si addentrò speranzoso.
Improvvisamente vide un paio di persone, in fondo alla piccola strada in cui ora si trovava, entrare in un portone sul lato opposto.
Accelerò il passo e si avvicinò alla porta.
Notò che non era chiusa e dall’interno usciva il riverbero d’una luce.
Si risolse e, con circospezione, spinse con la mano la semplice anta di una porta su cardini e sbirciò dentro.
Con sorpresa si rese conto che quello era una specie di locale.
C’erano tavoli con sedie ed una sorta di bancone, dietro cui un barista umano mesceva qualche liquore.
Entrò.

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