domenica 2 dicembre 2007

Emerald - Capitolo 32

Passarono ore, osservando con estrema attenzione quella proiezione tridimensionale, che scorreva dinanzi a loro.
L’immagine era larga circa tre metri e leggermente più lunga.
Avevano l’impressione di vedere quella terra scorrere dinanzi a loro, come attraverso una specie di finestra.
E di vederla immobile, come pietrificata dal capriccio di un grande mago.
Immobile, e privata del suo cielo, delle sue nubi.
Immobile, e sospesa sul baratro di un nulla buio, dove affondava la scogliera.
Impiegarono ore e procedettero molto lentamente.
La costa era fortemente frastagliata, ricca di insenature e fiordi, che penetravano profondamente verso l’interno. Qui ramificandosi e là allargandosi in imprevedibili anse, riparate dalla furia dell’oceano. A volte l’incessante lavorio dell’acqua aveva eroso la scogliera, creando isolotti, scogli, faraglioni, che si ergevano, come sentinelle, contro i sempre nuovi e sempre ripetuti assalti.
Ovunque la roccia addolciva la sua pendenza, ovunque la terra aveva conquistato una frazione precaria di territorio, lì attecchivano le piante. Dai muschi, all’erba, dai cespugli agli alberi di ogni tipo e dimensione, sembrava che solo la prepotenza del vento discriminasse la natura della vegetazione.
Sul versante riparato della costa si alternavano lunghi tratti di diversa conformazione. A volte il terreno saliva progressivamente verso la scogliera, ricoperto da boschi così fitti da apparire impenetrabili. A volte, invece, il terreno si corrugava, mettendo a nudo tratti rocciosi e impervi. Altre volte, ancora, si apriva in improvvise voragini e depressioni. Mentre qua e là tutte le caratteristiche sembravano fondersi in maniera inestricabile.
La fascia costiera, spesso, si allargava verso l’interno anche di qualche decina di chilometri, prima di affondare nella zona paludosa.
L’insieme di questi fattori li costringeva ad un percorso tortuoso ed estenuante.
Quando chiesero di fermarsi, esausti, avevano esaminato non più di trecento chilometri di costa.
- Impiegheremo una vita per esaminare tutta la costa – mormorò Arthur, mentre la luce fredda era tornata ad illuminare la sala.
- E non è che le cose più avanti migliorino – gli rispose Ingrid.
- Qualche idea?
Era stato il capitano Gile a parlare.
Evidentemente era entrato nella sala senza farsi notare e si era seduto in uno degli ultimi posti.
… Chissà da quanto tempo era rimasto ad osservarli.
Arthur scosse il capo.
- Fino ad ora non ho notato nulla che potesse in una qualche maniera essere collegato al messaggio di Jhob.
- E’ solo all’inizio professore.
- Ma non è facile. Non so cosa debbo cercare. Se è un luogo, o un oggetto. Se è grande, o è piccolo. Se è sull’oceano o se è all’interno.
- Ma lo riconoscerà. Quando lo vedrà lo riconoscerà.
- Si, lo riconoscerò.
- Il suo amico Jhob non le avrebbe dato quelle indicazioni, se non fosse stato sicuro che lei avrebbe compreso.
- Poteva essere più chiaro, però – recriminò a bassa voce, Ingrid.
- No, signorina – le rispose il capitano – E’ stato intelligente, molto intelligente. Ha fatto in modo che il professor Temple non potesse tradirlo, neanche involontariamente.
- Certo, Ingrid – assentì Arthur – non posso indicare qualcosa che non conosco. E il luogo dove si trovano Jhob e il relitto del Chronos lo conoscerò solo quando lo avrò visto e riconosciuto.
Il capitano parve soddisfatto ed uscì dalla sala.
- Cosa stiamo facendo? – Gli chiese Ingrid, fissando negli occhi.
- Per il momento cerchiamo una risposta – le rispose Arthur.
- Perché?
- La domanda giusta sarebbe: “A quale domanda?” – ribatté Arthur con un mezzo sorriso.
- Va bene. A quale domanda?
- E chi ha detto che la domanda sia una soltanto?
- Quante sono le domande?
- Al momento, almeno due me ne vengono pressanti. Ma ce ne sono ancora molte che richiedono una risposta.
Passarono i tre giorni successivi ad esaminare la mappa della costa.
Alla fine del terzo giorno avevano superato di poco la metà della mappa e si erano fermati proprio nella zona dove si trovava il cargo sub orbitale.
Ancora non avevano rilevato nulla di significativo.
La sorveglianza nei loro confronti s’era andata facendo sempre più discreta.
Veniva consentito loro di mangiare insieme e di passeggiare un’ora al giorno all’esterno del cargo, con gli uomini in nero, sempre presenti, ma defilati.
Era in quei momenti che si azzardavano a dirsi qualche parola, sperando che i loro discorsi non fossero comunque ascoltati. Avevano esaminato con scrupolo i loro indumenti e non vi avevano trovato traccia di microfoni. Ma non potevano escludere la possibilità di essere monitorati a distanza.
- La vigilanza segue uno schema ripetitivo - mormorò il terzo giorno Ingrid, seduta sull’erba, la schiena appoggiata al tronco di un albero, mentre ad occhi chiusi sembrava assaporare l’aria fresca – Turni di sei ore, per sei uomini a turno. Quattro sono all’esterno, uno è in plancia ed uno al portello. Tutti sono armati di storditore. Fino ad ora non ho visto nessun paralizzatore.
- Questo cosa vuole dire?
- Che non possono colpirti a distanza.
- Quanti sono in totale, gli uomini sulla nave?
- Credo una trentina.
- Un po’ tanti per noi due soli.
- E chi li vuole affrontare?
Arthur fece una piccola passeggiata, come a sgranchirsi le gambe, poi tornò, andandosi a sedere al fianco di Ingrid
- Come usciamo da questo pozzo?
- Sull’altro lato del cargo c’è l’hangar del trasportatore e dei caccia. Sono tre, ed uno è sempre pronto a partire.
- Sei in grado di pilotarlo?
- Penso proprio di si.
- Ma sono piccoli. Ci entriamo in due?
- Stringendoci. Ah, c’è il meccanico di turno.
- E i nostri angeli custodi – la loro scorta si era intanto ridotta a due sole unità.
- Oh, ma che vuoi? Che ti dicano: vattene, vattene!
Arthur si guardò con noncuranza attorno, per sincerarsi che non avessero suscitato una indesiderata curiosità. Gli uomini in nero ostentavano la loro indifferenza.
- Va bene. Ammettiamo di riuscire a fuggire. Per andare dove?
Ingrid non rispose e alzò le spalle.
- Non potremo nasconderci all’infinito. E non credo che il nostro amabile ospite ci concederebbe una seconda chance.
- Credi di poter tirare ancora a lungo questa storia? O pensi di cavartela consegnando Jhob e Klaus a Gile il Nero?
- Non dire sciocchezze. Un attimo dopo che avesse messo le mani sui resti del Chronos, saremmo tutti morti.
- Allora?
- Dobbiamo sapere dove andare.
- Scoprire cos’è l’uovo?
- Già
- E allora torniamo al lavoro.
- Ormai se ne parla domani mattina. Non vorrei che un eccessivo attaccamento alla causa, suonasse sospetto al nostro gentile comandante.
- Che vuoi fare?
- Ho fame.
Ingrid lo guardò e scoppiò a ridere.
La risata fu contagiosa ed anche Arthur rise.
Ora gli uomini in nero li guardavano, ma perplessi, non sospettosi.
Si alzarono e prendendosi per mano, si avviarono verso il portello.
I due uomini della scorta li attendevano ai lati dello stesso e li seguirono come furono entrati.
- Vedi Ingrid? – disse gioviale – Un paio di domande ce le siamo fatte. E le risposte sono venute da sole.
- Si. Una è che sei scemo.
La mattina dopo ripresero l’esame della proiezione.
La depressione dove era posato il cargo non era, evidentemente, un’eccezione.
Quella parte dell’Aither era particolarmente tormentata da continue irregolarità, che aprivano improvvisi vuoti ed innalzavano altrettanto impervie barriere di rocce e graniti, in un mare lussureggiante di alberi.
Dovettero procedere molto lentamente, con continue oscillazioni dalla costa verso l’interno e viceversa. Con percorsi a ritroso e lente giravolte.
Da oltre un’ora andavano avanti in questo modo esasperante, quando Arthur notò un promontorio che si protendeva verso il mare.
Era un po’ più alto della già alta scogliera ed aveva la sommità orientata verso l’oceano, come frantumata.
Sembrava quasi la bocca spalancata di un pesce, con alcuni grandi denti aguzzi di pietra puntati verso l’oceano, sul labbro che saliva dall’interno ed altri denti, spezzati e altrettanto aguzzi, che s’innalzavano dal labbro che saliva dal mare verso il cielo, ma ad una quota più bassa dei primi.
Arthur fece in modo che l’operatore facesse un ampio giro, che li avrebbe portati a sorvolare quel promontorio.
Fugace ebbe l’immagine della sezione di un guscio d’uovo a cui, sodo, fosse stata asportata la calotta appuntita.
Quelli che di lato gli erano apparsi come denti acuminati, ora erano divenuti, per un attimo, i bordi irregolari d’un guscio d’uovo rotto.
L’interno era rimasto un buio vuoto.
Evidentemente la registrazione non conteneva dati su quella specifica rientranza.
Cercando di non mostrare alcuna emozione, controllò la posizione.
Quel promontorio era a meno di venti chilometri da loro e la sua posizione, protesa sull’oceano, lo rendevano facilmente rintracciabile.
Dopo qualche decina di secondi azzardò uno sguardo ad Ingrid.
La ragazza non mostrava di aver notato nulla.
Tornò ad osservare la proiezione, fingendo un’attenzione che non aveva più.
La sensazione era stata forte. Ma poteva anche essere solo una suggestione.
Come avrebbero potuto legare ogni loro speranza a quella sensazione?
Cercò di ragionare.
Il fatto che la registrazione non avesse dati, avvalorava l’ipotesi che la rientranza fosse particolarmente profonda.
Se fosse stato un semplice avvallamento, infatti, sicuramente avrebbero visto la vegetazione che vi cresceva.
Se quella era l’apertura di una rientranza che si spingeva all’interno, poteva essere significativo che fosse orientata verso l’oceano.
Cioè verso est, a raccogliere la luce di Uraneo sorgente al mattino.
Non cercavano, forse, l’uovo di Phanes, il brillante?
.. non aveva altro.
Ed era comunque un azzardo.
Se fossero riusciti a fuggire e a raggiungere il promontorio, e la sua sensazione si fosse rivelata un inganno?
Cosa avrebbero potuto fare?
Avrebbero solo potuto vagare per i boschi dell’Aither, nascondendosi come animali braccati e sperando di trovare alberi da frutta sul loro percorso.
Fu il capitano Gile a risolvere i dubbi di Arthur.
Arrivò in tarda mattinata nella sala.
- Partiremo domani – disse – Non posso trattenermi oltre lontano da Emerald City.
- Ma la nostra ricerca? – protestò Arthur.
Il capitano lo guardò per un attimo.
- Crede che i proiettori non funzionino a Emerald City? Come avrete individuato qualcosa, torneremo. Con questo cargo, il viaggio è di poche ore, professore.
Come Gile fu uscito, Arthur lanciò uno sguardo ad Ingrid.
- Oggi stesso.
Ingrid fece un lieve cenno di assenso con il capo e gli rivolse un’altra domanda muta.
- Forse – rispose Arthur.
Ingrid lo guardò intensamente e, questa volta, fu Arthur a rispondere con un cenno di assenso.

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