domenica 2 dicembre 2007

Emerald - Capitolo 8

Incontrò il signor Ciang davanti alla reception.
Cercò di scusarsi del suo comportamento la sera prima.
Ma l’altro fece mostra di non dare alcun peso alla cosa e si comportò come se nulla fosse successo.
- Cosa conta di fare, questa mattina?
- Vorrei conoscere un po’ meglio la città, con calma. Capire come è organizzata.
- Dopo l’impatto, come possiamo dire … - il signor Ciang sembrò cercare le parole – problematico di ieri sera, mi sembra un’ottima apertura di credito, da parte sua.
- Dove posso trovare una cartina della città, in modo da non rischiare di perdermi ogni cinque minuti? – chiese, per poi spiegare - Sa, non vorrei diventare un ospite ingombrante per la Sicurezza. Da quando sono arrivato, ho avuto modo di ricevere le attenzioni di un ufficiale, un certo capitano Gile, già due volte.
- Spero sia stato trattato come si conviene
- Per carità! – fece Arthur – Nulla da dire. Diciamo che sono io, a non voler passare per un piantagrane. … Lei crede che possa avere una piantina?
- Credo che il posto migliore sia proprio la reception.
Il signor Ciang si volse verso il giovane impettito che, dietro il banco, sostituiva quella mattina Annie.
- Il professor Temple vorrebbe una piantina della città.
Il giovane si chinò e recuperò sotto il banco una piantina, che porse con un sorriso ad Arthur.
- La ringrazio molto – disse Arthur, mentre dispiegava il materiale plastico della cartina.
La pianta della città sembrava sufficientemente particolareggiata.
Arthur notò che erano indicati sia l’Emerald’s Door, che il Ristorante ed una serie di edifici, sedi di uffici.
Ebbe il tempo di notare come la parte sinistra della città, quella residenziale, fosse un ordinato reticolo di strade che si infittiva, restringendosi, verso il centro.
Senza mai allargarsi in un qualcosa di simile ad una piazza.
Mentre la parte destra, quella produttiva, sembrava suddivisa in blocchi quadrangolari di diverse dimensioni.
- Signore – il giovane stava richiamando la sua attenzione. Si voltò – La penna – e gli porse un piccolo cilindro affusolato, con una estremità appuntita.
- E’ per l’uso della carta – il signor Ciang soccorse il suo imbarazzo – Una piccola invenzione dei laboratori della Compagnia – spiegò - Se lei posa la punta della penna su un punto qualsiasi della carta, su questa si disegna il percorso più opportuno per raggiungere quel punto. Provi. Tocchi il Ristorante e vedrà.
Arthur eseguì e sulla carta comparve un tratto d’un verde brillante, che dall’Emerald’s Door arrivava al Ristorante, seguendo il percorso che, a senso, Arthur ricordava aver fatto la sera prima.
- La piantina – aggiunse il signor Ciang - è dotata di un sensore in grado di individuare automaticamente il punto di partenza. Cioè dove si trova in quel momento la piantina. Purché si trovi all’interno della città.
- Veramente notevole – mormorò Arthur.
- Ho una proposta da farle – cambiò discorso il signor Ciang – Il mio lavoro quest’oggi consiste in un giro d’ispezione, diciamo così, ufficioso. Prima di cominciare i controlli, ho bisogno di rendermi conto dello stato di attuazione dei programmi, come dire … dal vivo – sorrise – Ho più fiducia nel mio naso, che delle fredde cifre dei bilanci, signor Temple. E questo, dovrà riconoscerlo, è un punto a mio favore.
Arthur rimase per un attimo interdetto. Ma poi ricordò la discussione del giorno prima sull’astronave e sorrise a sua volta.
- Lei non mi perdona nulla, signor Ciang.
- Che dice, signor Temple, vuole venire con me?
Arthur valutò che, al seguito del signor Ciang, avrebbe avuto maggiori probabilità di individuare quella sala del Mendelevio in cui, quella sera, si sarebbe riunita la Società dei Naufraghi del Chronos e fu felice di accettare la proposta.
- Con piacere – rispose – Ma ho ancora un favore da chiedere.
- Prego – disse il signor Ciang – sono a sua disposizione.
- Potrei avere un abito locale? Ieri ho capito di essere un … rainbowed, e preferirei cercare di passare il più possibile inosservato.
- La posso capire – disse comprensivo il signor Ciang – Anche se rainbowed non è un’offesa, la posso capire – e tornò a voltarsi verso la reception.
Dopo dieci minuti il signor Ciang, nel suo abito da quadro della Compagnia e il signor Temple, nella sua tuta verde scuro da miner, uscivano dall’Emerald’s Door. Fuori salivano su un piccolo mezzo a cuscino d’aria, su cui spiccava, in fiammanti lettere verde-oro il monogramma della Mines & Stars Co.
Il mezzo sfrecciò deciso in direzione del centro della città.
Quella mattina la città si presentava decisamente più animata.
Sulle strade si vedevano quasi esclusivamente grossi mezzi di trasporto collettivo.
Mentre un brulicare di pedoni verde scuro entrava e usciva dagli edifici grigio verdi degli uffici, con un passo veloce.
Gli unici individui fermi erano quelli alle fermate dei mezzi, che planavano veloci, caricando e scaricando i passeggeri, per poi risalirsene in volo.
I mezzi neri della sorveglianza, dall’alto, scandagliavano, lenti, quella scena.
Passarono nella zona residenziale.
Qui gli individui verde scuro sembravano avere una sola direzione.
- E’ l’ora del secondo turno – spiegò il signor Ciang – Gli ingressi al lavoro sono scaglionati in quattro turni, sfalsati di un’ora tra loro. E’ la soluzione più semplice per spostare due volte al giorno venticinquemila persone da una parte all’altra della città. Tutte quelle persone stanno raggiungendo i terminal dei trasporti, che le porteranno al loro posto di lavoro.
L’auto seguì il flusso di quella marcia ed, in breve, raggiunse un largo viale, dove erano in attesa dei grossi veicoli allineati.
Le persone verde scuro, senza alcuna esitazione, raggiungevano un preciso veicolo salendo a bordo.
Ogni qualche secondo, come seguendo il ritmo di una silenziosa musica, un veicolo d’improvviso levitava nell’aria, per poi avviarsi, con un’armonica accelerazione, in direzione della zona produttiva della città.
- Ci sono altri quattro terminal come questo. Ogni terminal serve un’area specifica della zona produttiva e, naturalmente, la Compagnia assegna gli alloggi in modo che ogni persona risieda nella vicinanze del proprio terminal.
- Ma da questa parte della città non rimane nessuno? – chiese Arthur
- Bambini e studenti vengono trasportati nella zona uffici, dove ci sono nidi e scuole. Mentre i malati sono ricoverati nel centro medico, che è sempre nella zona meridionale. Restano solo gli indipendenti, se pagano l’affitto del loro alloggio.
“Formiche”, questo era il pensiero che Arthur aveva stampato nella mente, mentre guardava quell’ordinato e perfettamente razionale affaccendarsi.
Ogni individuo era perso, dissolto in quel mostruoso “essere alveare”.
In quel formicaio che, con insensibile intelligenza, cresceva, nutrendosi del lavoro di ognuna di quelle singole formiche operaie verde scuro.
Nutrendosi del suo lavoro e schiacciandone sogni, speranze, desideri …
- Ma gli esseri umani non sono formiche! – si disse Arthur, osservando i vigilanti neri, che volteggiavano in alto.
Passarono nella parte produttiva della città.
Arthur notò che le due parti avevano una separazione fisica.
Una lunga fila di pali collegati da fasci di luce verdognola.
E il signor Ciang gli confermò che si trattava dello stesso tipo di campi d’energia, che avevano osservato allo spazioporto.
Lo informò, quindi, che vi erano dodici varchi pedonali, sorvegliati da uomini della sicurezza.
Arthur registrò la cosa, valutando che avrebbe avuto un problema in più quella sera.
Il giro nella parte produttiva fu, contrariamente a quanto si era aspettato Arthur, interessante.
I pozzi avevano larghe bocche, sulla cui circonferenza si ergevano gli immensi bracci di gigantesche gru e i robusti tralicci degli impianti di trasporto, che consentivano il trasferimento del personale dalla superficie al fondo dei pozzi, ad oltre quattromila metri di profondità, ed il loro ritorno.
Si, i pozzi estrattivi avevano un orrido fascino
Mentre l’improvviso affiorare dei cassonetti carichi del materiale grezzo estratto, sparati dal fondo dei pozzi, con un’accelerazione che nessun umano avrebbe potuto mai sopportare, era uno spettacolo affascinante.
Seguirono il percorso del materiale grezzo che, mediante nastri trasportatori, raggiungeva gli impianti di lavorazione ed una serie di queste fasi lavorative.
Tra i diversi metalli pesanti il signor Ciang ad un tratto citò il mendelevio.
Arthur fu subito attento, quasi incredulo della sua fortuna.
Si era, infatti, lambiccato il cervello su come avere qualche informazione su quella produzione senza destare sospetti.
Chiese, sperando di sembrare il più naturale possibile, qualche notizia in più ed il signor Ciang fu, come al solito, estremamente cortese.
Mentre illustrava quel ciclo, propose ad Arthur di osservare direttamente i diversi impianti.
Ovviamente Arthur accettò.
La produzione di ogni metallo pesante avveniva negli edifici di uno specifico quadrilatero.
Questa era la ragione della particolare suddivisione dell’area produttiva della città.
Visitarono i diversi edifici in cui si articola il flusso produttivo del mendelevio, sino a giungere ad un locale dove, finalmente, veniva raccolto il metallo raffinato.
Entrando nel locale, il signor Ciang disse:
- E questa è la sala del mendelevio.
Arthur ebbe un salto al cuore e, facendo mostra di ascoltare quel che diceva il signor Ciang, si guardò intorno in cerca di qualche conferma.
La sala, un rettangolo senza finestre, che Arthur valutò di venti metri per dieci, era vuota, a parte il cassone di raccolta del metallo posto sul fondo.
Arthur, per l’ennesima volta – aveva avuto cura di ripetere l’operazione innumerevoli volte, come fosse un gioco, per non destare, al momento opportuno, sospetti nell’interlocutore – controllò la posizione sulla mappa, evidenziando il percorso sino all’Emerald’s Door.
La sala non era distante dallo spazioporto, in un punto che Arthur non avrebbe fatto fatica a raggiungere a piedi.
Cercò di memorizzare sulla cartina il punto esatto da cui partiva il percorso. Quello era il punto dove avrebbe dovuto piazzare la penna quella sera.
Ripiegò la cartina e continuò a discorrere amabilmente con il signor Ciang, che non fece mostra di essersi accorto di nulla.
Si lasciarono che Uraneo tramontava.
Arthur disse di sentirsi stanco, rifiutando l’invito a cena del signor Ciang.
- Credo che andrò subito a dormire
- Faccia sogni d’oro – disse con un inchino il signor Ciang, mentre la porta dell’ascensore si chiudeva.

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